Sabato 30 Marzo 2024

L’animale sociale

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Per alcuni nuova frontiera della socialità; per altri fine della stessa, la rete, specie dopo l’avvento dei social, ha trasformato il nostro essere. Se in passato l’informazione, una certa funzione pedagogica veniva svolta da pochi nei riguardi della collettività adesso non è più così. Ognuno di noi si sente, quasi in dovere, di fare in qualche modo informazione. Ciò non è necessariamente un male. Può essere indice di maggiore maturità; può permettere una risonanza massima per fenomeni in precedenza confinati all’interno di una comunità locale o nel silenzio della sfera domestica (si veda il caso del genitore che ha postato le immagini del figlio bullizzato); a volte può essere stimolo affinché quelle che sono riconosciute come autorità culturali possano migliorarsi o correggersi negli errori commessi. Non tutti gli esponenti di questo popolo della rete possono però fare una giusta informazione. Il rischio maggiore infatti è che qualsiasi persona si creda autorevole e quindi capace di fare informazione. Sempre e dovunque. Ancora maggiore è poi il rischio quando un’autorità culturale, dell’informazione, un qualsiasi ente pedagogico, pur dovendo sempre aprirsi alle sollecitazioni esterne, finisca per non essere più autonomo, libero nel giudizio. Consideriamo il caso della Perego e della chiusura da parte della Rai, dopo l’indignazione della rete, del suo programma “Parliamone Sabato”. Fermo restando la necessità di criticare la cretineria dell’argomento trattato (il perché le donne dell’est siano migliori delle italiane) vi è un’anomalia: decontestualizzare da parte delle rete un episodio, facendolo passare per iniziativa della conduttrice e del suo gruppo di lavoro, ha finito per far saltare la testa della povera Perego, dimenticandosi che questo argomento è nato e si è alimentato nella rete. La rete non ci ha reso a livello culturale più autorevole. Ci ha permesso di essere autori, spesso celati nell’anonimato, di atti discutibili. Fruiamo di un numero maggiore di notizie che in passato. Ma sono notizie fugaci; parziali; contingenti. Esprimiamo nella rete, sui social, i nostri sentimenti. Ma in modo patetico e spesso distante dal nostro agire concreto. Quanti di noi, ad esempio, che stanno manifestando la loro commozione in rete per la morte del ragazzo di Alatri, dinanzi ad una stessa scena nella vita reale preferiscono non intervenire o peggio si macchiano di simili atti? Forse aveva ragione Eco: prima dei social gli eventi e i relativi commenti erano vissuti in luoghi più circoscritti (il focolare per le donne; il bar per gli uomini; al lavoro). Le conseguenze del discutere, del criticare, dell’offendere erano limitate. Adesso non è più così. Nell’arena virtuale dove tutto sembra lecito le mode; l’idolatria; le offese hanno una diffusione rapida e incontrollata. Le idee, le notizie possono accendere le menti, favorire cambiamenti sociali e politici. Ma se non vi è controllo alcuno; se vi sono autori anonimi e non autorevoli, il rischio è che le idee in rete finiranno solo per surriscaldare e poi bruciare le menti.

Domenico Antonio Capone

 

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News · Piazza Duomo

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