Giovedì 25 Aprile 2024

A scuola la mente e il cuore incontrano le mani

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A Roma dal Papa, sabato 10 maggio, eravamo in trecentomila, e tra questi vi erano anche circa un ventina di pullman provenienti da vari comuni della nostra Diocesi di Manfredonia. E’ stata una festa per tornare, come ha detto un emozionatissimo Papa Francesco,  a “riamare la scuola”, per “non farci rubare l’amore alla scuola”.

Commentare un evento di tale portata è quasi impossibile. Significherebbe fare il resoconto di quanto è accaduto nel cuore di trecentomila persone: bambini, ragazzi, adolescenti, adulti, genitori e docenti, personale Ata, Dirigenti, i quali lasciandosi coinvolgere in prima persona, hanno condiviso problematiche, sfide ma anche speranze per e della scuola italiana. Molti messaggi sono scaturiti dalle testimonianze e soprattutto dai testi trattai dalle pagine di don Lorenzo Milani e don Tonino Bello. Ma è stato il discorso del Papa a scuotere le coscienze e a dare un’iniezione di fiducia a quanti operano nella scuola per portare avanti un rinnovato ed entusiasmante lavoro educativo. Perché senza passione non c’è vera educazione.

Il discorso del Santo Padre ha offerto molti spunti di riflessione pedagogica. Il primo aspetto che da subito ha colpito i trecentomila convenuti è l’idea che la scuola si caratterizza per essere un “luogo di incontro e di apertura alla realtà”.

“Incontro”, una parola che da qualche tempo si usa molto raramente, perché oggi, nonostante internet e altri strumenti di collegamento, ci si incontra poco. Si sta insieme, ma senza “incontrarsi” davvero, come potrebbe accadere – e come di fatto a volte accade – proprio a scuola. Si può stare tante ore insieme tra alunni, tra alunni e docenti, ma senza guardarsi mai negli occhi, addirittura senza mai conoscere il nome dell’altro. E invece il Papa con questa affermazione è come se avesse detto che l’educazione comincia da uno sguardo. Da volti che si cercano, si attendono e si comprendono, e che, a volte, anche se si perdono, non smettono di cercarsi. Perché l’educazione è attenzione, premura e cura, coltivazione e promozione dell’umano che è in ciascuno, anche in chi pensa che in lui ci si sia poco, o addirittura il vuoto o nulla. Volto in greco si dice con un termine che poi i latini hanno tradotto con “persona”. Ecco allora la vera conseguenza di tale affermazione: la scuola è un luogo dove  al centro sta la persona, cioè il vissuto relazionale e sociale di ogni ragazzo, con i suoi bisogni e i suoi talenti, con il suo tessuto esistenziale, ma anche con i suoi desideri e le sue attese, i suoi dubbi, le sue sconfitte e le sue conquiste.

L’educazione è l’incontro tra due libertà che si mettono reciprocamente in gioco, in una relazione educativa interattiva, per fare un cammino dove ciascuno, a partire dalla realtà, ci mette qualcosa di suo per una crescita personale e comunitaria. Perché non sono solo i giovani chiamati a crescere, ma gli stessi adulti  sono chiamati a una continua formazione e a una continua crescita tramite gli stessi alunni, per non spegnere la passione, non declinare il senso di stupore.

Un secondo spunto è che la scuola, ha detto Papa Francesco, deve “educare al vero, al bello e al buono”. Questi tre aspetti non vanno mai separati.  Riprendendo una antica tradizione filosofica, (che da Platone va fino a S. Tommaso, per arrivare fino ai giorni nostri con il personalismo di Mounier e di Maritain e la teologia di H. Urs von Balthasar), il Papa vuole ribadire che il bello è sul piano estetico ciò che il bene e il vero sono rispettivamente sul piano etico e sul piano della conoscenza. E’ come dire che la matematica e la logica si possono incontrare con la poesia, e la poesia e la matematica con la giustizia e la solidarietà sociale, con la lotta contro le bugie del nostro tempo che per pura comodità o interesse occultano le verità scomode. Non per nulla Platone parlava della bellezza delle leggi che dovrebbero governare una città, e gli antichi parlavano della bellezza come armonia, come proporzione, anche come isonomia, cioè come eguaglianza e coesistenza pacifica. La passione per la verità non è altro che estasi per il bello e impegno per il bene, per ciò che è giusto.

I nostri alunni non sono fatti di sola dimensione cognitiva, ma sono fatti anche di affettività, di emozioni. Hanno e sono un corpo in cerca di una grammatica, di un volto da essere e non di una maschera da mettere. Sono strutturati secondo un dimensione simbolica, estetica, relazionale, spirituale. L’educazione, e quindi la scuola, troppo spesso sbilanciata solo sul cognitivo, deve invece fare di tutto tenere unite queste dimensioni, cercando di promuovere in ogni allievo  uno sviluppo che sia armonico e unitario, sempre nel rispetto dei ritmi di apprendimento e della gradualità propria di ciascuno.

L’intero universo della persona del bambino-ragazzo-adolescente, va sempre colto nelle sue diverse sfaccettature e nelle relazioni sociali e interpersonali che lo vedono come soggetto attivo del proprio processo educativo. Questo cammino, ha detto il Papa, comincia dalla famiglia vero luogo di prima socializzazione e di prime relazioni interpersonali autentiche, di valori e di visioni del mondo, di significati e di codici per interpretare la realtà e il mondo in cui si muovo i primi passi. La scuola, in questa direzione, collabora con le famiglie, affiancando i genitori in un dialogo costante, senza sostituzioni né deleghe, né giustapposizioni, né conflitti. La scuola è chiamata ad offrire alle nuove generazioni una serie di grammatiche e di linguaggi per “imparare ad imparare”, e ancor più ad interpretare il proprio mondo, interiore ed esteriore, per aprirsi ala realtà, allo scopo di sviluppare quel necessario senso critico grazie al quale potranno muoversi con autonomia e libertà, cercando di segnare con la propria originalità e creatività il tempo presente in cui si trovano a vivere.

Da ultimo, concludendo il suo intervento, Papa Francesco ha richiamato tre termini cruciali: “Mente, cuore e mani”. La scuola come luogo del pensiero, del sentire e del fare. Ecco la consegna del Papa alle scuole laiche di Italia.  Più che di uno slogan da facebook, si tratta di criteri per mantenere invita un progetto pedagogico a dire il vero sempre presente nei documenti della scuola italiana e nelle ultime Indicazioni nazionali per il curricolo, allo scopo di far ripartire la scuola come laboratorio per la formazione personale e sociale delle nuove generazioni. Come a dire che la scuola più che insegnare pensieri, deve educare a pensare. Più che veicolare sentimenti, deve educare il cuore a sentire,  cioè affinare l’organo che sa andare in profondità per poter cogliere le evidenze mute. Più che offrire prestazioni deve educare a saper fare, che è più che sterile pragmaticità, è vera creatività dell’agire e dell’operare, impegno a costruire nella responsabilità spazi di riconoscimento reciproco e di cura comunitaria. Un fare che non è in contrasto con l’essere che siamo, ma via che lo compie e lo porta a compimento. La scuola: luogo dove il cuore riscalda la mente e la mente offre al fare il giusto indirizzo verso cui andare.

Si tratta di tre vie per arginare tre forme di analfabetismo oggi molto diffusi.

In primo luogo l’analfabetismo antropologico, secondo cui l’uomo è visto più come un peso, come una cosa inutile, un radicale non-senso, o a volte come un semplice gioco che non porta a nulla. Per uscire dal nichilismo strisciante che spesso impedisce a molti ragazzi di prendere coscienza della propria identità, dignità e del proprio valore, della propria unicità, ma anche della propria finitudine e fragilità che non è motivo per scoraggiarsi e rinunciare, ma perenne di bisogno di autotrascendimento. La scuola è chiamata ad affiancare ogni ragazzo nella maturazione della propria identità, aiutando ciascun alunno a formarsi una idea del proprio Sé, rispondendo alle grandi domande che si porta dentro, e se queste tacciono, a risvegliarle, per arginare l’inflazione delle domande inutili. Per dire che è meglio il tragico (nel senso che a tale termine hanno dato i greci) che l’apatico.

Il secondo analfabetismo è quello affettivo. In un mondo caratterizzato, come dice Bauman, dalle relazioni liquide e dai legami a scadenza, è necessario aiutare le nuove generazioni a decodificare le proprie emozioni e i propri sentimenti, per non perdersi nei labirinti costruiti da chi usa l’emozionalismo come specchio per le allodole e comprare i loro corpi e le loro coscienze al fine di ottenere una piatta omologazione a mode spersonalizzanti. La scuola è il luogo delle emozioni che mettono radici, e che coltivando  le passioni, liberano i desideri da ipoteche sterili e da facili compromessi, da una banalità  che le rende tristi e vuote. Oggi abbiamo una scuola dalle pappe pronte, che ostenta progetti ma senza che sappia insegnare a  progettare e a sognare ad occhi aperti, ad accarezzare il vento scomodo delle utopie. Da un lato per vincere la fine del desiderio e dall’altro, come diceva Lacan, ripreso da Massimo Recalcati nei suoi ultimi testi,  per porre un limite a tutti quei desideri che, senza più limiti, rischiano di diventare mortali.

L’ultimo è l’analfabetismo sociale. Per passare dalla competizione alla cooperazione, dalla estraneità alla reciprocità. Per sostituire la scuola dei voti con quella dei volti. Dove le differenze non creano muri o sospetti, o ancora pregiudizi, ma solo ponti, attesa e meraviglia. Differenze che non avallano nessun tipo  esclusione, ma che legittimano solo logiche ispirate alla vera inclusione, più di una semplice integrazione e al di là di ogni pretesa assimilazione. Dove ognuno è se stesso, c0nla propria identità, ma non solo se stesso, perché ogni identità è segnata da una profonda alterità. Non un se stesso chiuso e ripiegato sul proprio tornaconto, egoisticamente e narcisisticamente arroccato sul proprio ego assolutizzato, ma un ego decentrato e capace di approssimarsi in relazioni interpersonali, aperto agli altri e alla comunità.

Se la società non saprà concedersi una scuola capace di rigenerarla sarà destinata al fallimento o al dominio di poche élites. E allora il messaggio del Papa è chiaro: è necessario una scuola che aiuti a pensare il sentimento e a sentire il pensiero. A dare profondità al fare, senso e spessore al’agire, e, attraverso questo, a dare compimento all’essere di ciascuno.

Ecco la scuola di Papa Francesco. Non una scuola dalle passioni tristi, ma una scuola animata dal continuo senso di meraviglia. Laddove il cuore, il corpo e la mente si abbracciano per dare senso alla vita attraverso le grammatiche e i linguaggi nei quali la stessa vita è scritta.

Rimbocchiamoci le maniche e mettiamoci al lavoro. Tutti insieme. Nessuno escluso.

Michele Illiceto

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