Venerdì 19 Aprile 2024

La figura di S. Lorenzo Majorano nell’omelia di S. E. Mons. Michele Castoro

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Con la solenne processione che ha visto il simulacro di S. Lorenzo Majorano, percorrere le principali vie cittadine, seguita, oltre che dalle massime autorità civili e militari, da numerosissimi fedeli oranti, si sono conclusi i festeggiamenti in suo onore. Un’attestazione di fede di un popolo devoto che il 7 febbraio, giorno della sua morte (7 febbraio 1238 di Siponto, ossia nell’anno 545), lo ricordano con solennità. Del preclaro vescovo di Siponto, gigante della cristianità che, con la sua vita esemplare e le sue opere tanto ha donato al suo popolo, il nostro amato Pastore Mons. Michele Castoro, in occasione della celebrazione dell’eucarestia, nel corso dell’omelia, oltre ad averne tracciato i passi più importanti del suo ministero episcopale, ha sottolineato che la spiritualità di S. Lorenzo Majorano, ancora oggi, in modo prorompente si pone all’attenzione di una società avviluppata dalla globalizzazione, dal consumismo più sfrenato, dove i valori dettati dal Vangelo, quali la famiglia, l’amore per il prossimo, per i diseredati, i poveri gli ammalati e quanti soffrono per l’ingordigia dei propri simili vendono calpestati. Valori per i quali il Santo vescovo Lorenzo si è battuto fino allo spasimo. Questo, appunto, il messaggio che il nostro Pastore ha rivolto ai fedeli sipontini e all’intera comunità diocesana, di cui qui di seguito ci piace riportare testo integrale.

Matteo di Sabato

Cattedrale, 7 febbraio 2014
“Fratelli e sorelle di Manfredonia, carissimi presbiteri, religiosi e religiose, seminaristi, Signor Sindaco, Autorità, Comitato feste patronali, a tutti voi il mio più cordiale saluto e augurio, in questo giorno di festa.
1. La ricorrenza della festa di San Lorenzo Maiorano, patrono principale della città di Manfredonia e dell’intera diocesi, è sempre un momento di grande gioia spirituale, che ci fa ritrovare ogni anno qui, in cattedrale, per una celebrazione intima e solenne.
La pregevole statua lignea del Santo, che tra poco porteremo in processione, e le sue raffigurazioni pittoriche sulle pareti, ci fanno percepire la sua presenza viva e protettiva, non solo in questo luogo sacro, ma nell’intera nostra città, che ha nel suo stemma civico proprio l’effigie di San Lorenzo Maiorano.
Un santo, che a distanza di 1500 anni continua ad abitare gli spazi ed i cuori dei Sipontini che da tempo immemorabile lo salutano patrono singolarissimo e nel quale ancora vedono “un esempio di vita intessuta saldamente con la storia di una città e un territorio” – per dirla con le parole di un nostro illustre concittadino, il compianto Cristanziano Serricchio – una città e un territorio “prospicienti un mare gravido di arrivi e di partenze, di leggende e di storia”.
Ad immagine di Cristo, il buon Pastore, di cui ci ha parlato il Vangelo or ora ascoltato, San Lorenzo è stato un pastore che, in un’epoca di grandi mutamenti sociali e culturali, ha saputo sempre indicare con convincente sicurezza la direzione nella quale camminare.
E’ stato padre e pastore del suo popolo.
Nella tradizione orientale è consuetudine riferirsi ai santi con questa espressione straordinaria: i “somigliantissimi a Cristo”. Chi è dunque il santo? Un uomo, o una donna, la cui esistenza ha assunto i tratti di quella di Gesù Cristo.
E nel suo ministero, San Lorenzo si è reso somigliante, anzi somigliantissimo a Cristo, il buon Pastore.
2. Carissimi fedeli, quello che abbiamo quest’oggi ascoltato da san Paolo descrive bene la figura del nostro santo Vescovo: egli non cercò mai di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori. Mai infatti aveva cercato la gloria umana. Fu invece amorevole in mezzo ai suoi fedeli come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. Così affezionato a loro, avrebbe desiderato dare non solo il vangelo di Dio, ma la sua stessa vita, perché gli erano diventati cari (cfr. 1 Tes 2,4-8).
Oggi ci troviamo in una società da molti definita complessa o liquida, caratterizzata da frammentarietà e incertezza, da insicurezza e paura per il futuro. La vera sfida che dobbiamo affrontare è l’educazione, e tutti siamo chiamati a rispondervi in modo nuovo.
Come Comunità diocesana, aderendo ad una iniziativa della CEI “La Chiesa per la scuola”, ci stiamo impegnando quest’anno ad aprire un dialogo nuovo con la scuola e la pubblica amministrazione, proprio sul tema dell’educazione. L’iniziativa avrà il suo momento più significativo nell’Udienza con Papa Francesco in Piazza San Pietro il 10 maggio prossimo.
Sì, oggi la relazione educativa si è fatta problematica, soprattutto tra le mura domestiche, in famiglia e nella scuola. La questione educativa coinvolge direttamente anche la stessa comunità ecclesiale.
Le domande sono precise: come trasmettere ai giovani i valori che danno senso alla vita? Come restituire alla famiglia il suo primato educativo? Come riportare tra i banchi di scuola una credibile autorevolezza educativa? Come coniugare gradualmente la libertà con la responsabilità nei vari passaggi dell’età evolutiva?
Ecco, nella odierna memoria di san Lorenzo, la domanda sembra suggerire un altro orizzonte: Come restituire alla città di Manfredonia la sua vocazione educativa? Come la città può ridiventare educativa?
3. Mi sembrano tre i segni di una città viva, educativa, capace di parlare alle generazioni che vengono.
a) Anzitutto la città educa attraverso i segni della memoria. Quando facciamo due passi nel cuore della città o, appena fuori, alla Basilica di Santa Maria Maggiore a Siponto o ancora all’abbazia di San Leonardo, facilmente il nostro pensiero va ad una tradizione ricca di fede. Chiese antiche, mura di conventi, edicole di santi. Ci viene spontaneo ripensare alla nostra città, all’onda plurisecolare della fede.
Le diverse chiese all’incrocio delle nostre strade, tra le nostre case, custodiscono il segno di una perenne incarnazione che ci rinvia alle parole di Gesù: «Sarò con voi fino alla consumazione dei secoli» (Mt 28, 20).
I segni, dunque, sono l’alfabeto di una città, sono la sintassi di una storia che parla; non ricordano solo che la fede ha una storia; essi sono lì, anche oggi, a ricordare che il senso della vita sta oltre; oltre i tetti delle nostre case, oltre il nostro stesso futuro. E quei segni sono evocativi, educano alla fede. Non è rara l’esperienza di chi, dubbioso, varcando la soglia di un tempio ne esce completamente trasformato con il cuore in pace.
b) Ma la città educa ancora nei segni del tempo, abitato da Dio e dagli uomini. Se la città vuole essere educativa non può cancellare i segni che scandiscono i tempi sacri. C’è infatti un’esigenza diffusa di umanizzare la vita, ma questo processo non è pensabile escludendo Dio.
Sembra un paradosso, ma l’esclusione di Dio dalla storia annichilisce l’uomo. In Cristo l’umanità va alla sorgente. Là dove Dio viene esiliato la vita perde in umanità.
Si tratta di armonizzare i tempi del lavoro e le esigenze della festa, di conciliare la professione e la maternità, di accordare i giorni della produzione con i giorni del riposo e della famiglia. E questo è importante per costruire una società dal volto umano, una città dal volto umano.
Qualcuno potrebbe osservare giustamente: e chi il lavoro non ce l’ha? Purtroppo, questa sta diventando una grave emergenza, un’emergenza che affligge tanti giovani e altrettante famiglie.
Anche le percentuali di persone che si rivolgono ai nostri centri Caritas registrano un crescendo continuo. E non sono solo persone immigrate, ma anche concittadini che, per pudore, cercano di non farsi notare. C’è una povertà che avanza. Tutto questo naturalmente ci deve spingere ad una maggiore attenzione verso chi è nel bisogno, consapevoli che più allarghiamo il cuore più sopportabile sarà la situazione di disagio e più crescerà il livello di civiltà dell’intera società.
c) E, infine, la città educa attraverso testimoni autorevoli. La fede infatti vive attraverso i segni della testimonianza dei cittadini. Ciò significa ricuperare il senso vero dell’educare, di un rapporto buono con le generazioni che si affacciano al nostro futuro. Educare non si riduce a trasmettere norme di galateo, né solo a sviluppare l’intelligenza. Educare significa accendere la luce al senso della vita, aiutare a capire perché si è al mondo.
Anche la nostra città di Manfredonia, perché possa ricuperare una seria autocoscienza educativa ha bisogno di testimoni viventi con il linguaggio persuasivo e autorevole dell’esempio. La città, è vero, ha i suoi amministratori, la sua scuola, le sue parrocchie, i suoi spazi di tempo libero; ha la sua storia, i suoi monumenti, ma è necessario che noi educatori abbiamo davvero il gusto di essere testimoni del servizio al bene comune.
Voglio concludere con queste parole di Papa Francesco: “Non lasciatevi rubare la speranza!”. Forse la speranza è come la brace sotto la cenere; aiutiamoci con la solidarietà, soffiando sulle ceneri, perché il fuoco si infiammi un’altra volta. […] La speranza non è di uno, la speranza la facciamo tutti! La speranza è cosa di tutti! Per questo vi dico: “Non lasciatevi rubare la speranza!”.
Rivolgiamoci a San Lorenzo, sentiamolo amico e compagno di viaggio; invochiamolo perché sia di sostegno nelle difficoltà; affidiamogli le nostre ansie e le nostre preoccupazioni; e soprattutto imitiamolo nella sua amabile testimonianza e nelle sue splendide virtù.
Così sia.
+ Michele CASTORO
Arcivescovo

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Commenti

  • Grazie Monsignor Castoro per le splendide parole e l’affetto e l’attenzione che Lei ha per la nostra città che ormai e anche la sua, ma la politica locale è poca attenta ai problemi della città.

    logico 2013 10/02/2014 10:30 Rispondi

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