Venerdì 29 Marzo 2024

Dalla parte dei proletari, di tutti i lavoratori e contro le disuguaglianze (II Parte) (di S. Cavicchia)

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Seconda parte.

Il proletariato, quindi, esprimeva nell’insieme la condizione di generale subordinazione economico – sociale di chi può contare per vivere soltanto sulla vendita della propria forza lavoro. Successivamente è stato usato, erroneamente, come sinomino di operai che è più specificamente la condizione di chi svolge attività manuali nelle fabbriche. E’ con Marx che ha assunto il significato attuale: proletariato = classe operaia, in contrapposizione alla classe dominante, la borghesia. Questo era uno schema interpretativo molto riduttivo e piuttosto astratto della dinamica e stratificazione sociale. Aveva un significato per la sua visione filosofica fondata sulla dialettica hegeliana e sulla visione della lotta politica per il cambiamento rivoluzionario del sistema dominante: Marx, infatti, individua dentro lo stesso sistema produttivo un gruppo sociale, la classe operaia, che si poneva come antitesi alla classe dominante, la borghesia – tesi, per arrivare a produrre una situazione nuova, la sintesi, “la società senza più classi sociali”. Era un schema interpretativo erroneo, riduttivo, e, quindi, ideologico, cioè falsamente rappresentativo della realtà sociale. Addirittura tale schema diventa ultra ideologico dato che dal proletariato Marx staccava il proletariato straccione (lumpen-proletariat), solo perché non considerava tale gruppo funzionale alla lotta rivoluzionaria, anzi era contro rivoluzionario. Di ciò lo stesso Marx era consapevole ma lo utilizzava per la semplicità e facilità con cui poteva essere compreso dalla enorme massa di proletari e lavoratori, per lo più senza istruzione. Anche per questo tale schema ebbe una sua efficacia politica, sindacale, organizzativa.

I NUOVI PROLETARI ED IL CAPITALISMO FINANZIARIO

Questo schema interpretativo, già poco valido per una società industriale, non regge più nella attuale sistema capitalistico, dominato dalla finanza. Il capitale non ha più bisogno dei produttori per riprodurre ed accrescere il proprio valore; esso si riproduce da sé moltiplicandosi automaticamente ed accumulandosi senza limiti, in modo globalizzato ed incontrollabile, muovendosi e spostandosi liberamente ed in un attimo da un capo all’altro del mondo, laddove può ricavare più guadagno e profitto. (Si calcola, riduttivamente, che la ricchezza autoprodotta dal capitale finanziario sia almeno dieci volte superiore a quella prodotta dall’insieme della produzione di beni e servizi). Il capitale ha sempre meno bisogno del mondo produttivo di beni e servizi e del relativo sfruttamento del lavoro per produrre profitto, arricchimento: si auto riproduce da sé. Perciò riducendosi lo spazio ed il ruolo del sistema industriale nella produzione di ricchezza, la classe operaia tende ad essere sempre più una minoranza nell’insieme della popolazione attiva, che per gran parte è costituita da chi è fuori, è/o resta ai margini del sistema o ne viene espulso. Per tanto emergono e si ricostituiscono un insieme di mondi sociali simili a quelli emersi alla nascita del sistema industriale capitalistico e, per tanti aspetti, nuovi e peggiorativi. Si struttura una stratificazione sociale fluida ed indeterminata, costituita da una massa di esclusi dal mondo del lavoro, non produttori, poveri, precari e marginali, disoccupati, cassintegrati, nulla facenti, sradicati, gruppi sociali operanti nell’economia sommersa, illegale, delinquenziale, immigrati ed emigranti, persone senza fissa dimora, vagabondi liberi o legati a lavori stagionali, impossibilitati a produrre un reddito per auto sostenersi, senza nessuna autonomia economica, “i nuovi miserabili”, i quali non sono neanche proletari, perché sono soli, senza figli, senza neanche il valore ed il sostegno dei figli, il nuovo proletariato.

I NUOVI MISERABILI ED I LAVORATORI NEL MONDO, IN ITALIA, NEL NOSTRO TERRITORIO

Studi e ricerche sociali hanno evidenziato che, contrariamente alle aspettative ed alle previsioni, tale proletariato tende ad allargarsi, invece di essere assorbito dal sistema capitalistico finanziario, coinvolgendo resti e frange di altre classi o gruppi sociali in trasformazione o in disgregazione, come è avvenuto alle origini della rivoluzione industriale. Un esempio in tal senso è l’impoverimento attuale delle classi medie e la loro frantumazione. Ciò porta alla presa di coscienza del fatto che tale nuovo proletariato è un prodotto intrinseco e duraturo, non transitorio, dello sviluppo economico capitalistico finanziario, ed è presente sia in paesi sotto sviluppati che sviluppati, con intreccio continuo dato il mondo globalizzato. Le caratteristiche più importanti di questo proletariato moderno sono: incapacità di riconoscersi e definirsi come gruppo sociale, l’assenza di mobilità sociale, disorganizzazione nella vita quotidiana ed irregolarità o mancanza di occupazione e reddito, concentrazione nelle periferie, soprattutto nelle grandi città, totale marginalità, sociale, culturale, economica. Perciò c’è una incapacità di esprimere una propria rappresentanza né politica elettiva né organizzativa e sindacale, se non attraverso moti improvvisi di piazza. Il loro comportamento elettorale è fluttuante e fortemente influenzabile sia da eventi contingenti sia dai meccanismi della clientela e del potere locale, oltre che dai mass media.

Esiste oggi una situazione sociale così drammatica che in altri tempi (‘800) avrebbe portato alla contestazione radicale e rivoluzionario del sistema. Se ciò oggi non avviene, ed anzi prevale il sentimento e desiderio di integrazione, è perché e stato costruito un sistema socio – assistenziale, welfare sanitario previdenziale che è il principale ammortizzatore sociale e freno ad ogni contestazione totale. E questo è frutto del movimento operaio che con la propria lotta si è fatto carico storicamente dell’insieme di tutti i strati sociali marginali.

RIFLETTERE SULLE PROPRIE ORIGINI E SUL PRESENTE

Questo è il quadro nuovo della stratificazione sociale liquida nel mondo contemporaneo e, perciò, è fondamentale che il sindacato moderno rifletta su se stesso, sulle proprie origini e sul suo presente, oltre che mobilitarsi nella società e nei luoghi di lavoro. È prioritario il problema di come riuscire a rappresentare tutti questi mondi sociali, che sono fuori, emarginati, scacciati da processi produttivi e da una qualsiasi forma di rappresentanza. Occorre muoversi verso un sindacato di cittadinanza, consapevoli che portare a termine positivamente questo compito significa poter incidere in modo più consistente anche nello specifico delle fabbriche e delle condizioni di lavoro salariato.

Silvio Cavicchia

Sociologo e Ricercatore Sociale del Centro Studi e Ricerche “Eutopia”

silviocavicchia@libero.it

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