Giovedì 25 Aprile 2024

ANCI contro il DEF: “Tagli da dirigenti che non hanno amministrato neanche un condominio”

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Il presidente dell’Anci Fassino sul DEF: “Renzi ci riceva subito, prima che decisioni e cifre diventino immodificabili”.

«Dopo sei anni in cui si è chiesto molto a noi e poco agli altri è giunto il momento che si chieda molto agli altri e meno a noi». Il presidente dell’Anci e sindaco di Torino, Piero Fassino, sul Documento economico finanziario gioca d’anticipo, chiedendo al governo un incontro prima del varo definitivo.

Sindaco Fassino, siamo al solito balletto tra governo ed enti locali su tagli e spesa?
«Io non voglio aprire alcun balletto. Con il governo è necessaria una discussione a monte, prima che decisioni e cifre diventino immodificabili. Anche perché in questi anni sono stati i Comuni i primi ad aver contribuito al risanamento del Paese».

Ci dia le cifre?
«Dal 2010 i Comuni hanno contribuito al risanamento con oltre 17 miliardi, di cui 8,5 miliardi per il Patto di Stabilità e altri 8,5 come riduzione della spesa. Sforzo mai chiesto in uguale misura a nessuna altra amministrazione pubblica, partendo dai ministeri, mentre l’incidenza dei Comuni sul debito e sulla spesa pubblica è molto bassa».

Vuol dire che i Comuni sono i più “vessati” anche se sono i più virtuosi dell’intera macchina pubblica?
«Voglio dire che alle amministrazioni che hanno la maggiore responsabilità del debito e della spesa pubblica non è stato chiesto un sacrificio pari a quello che hanno dovuto sopportare i sindaci. Facendo cento il debito, solo il 2,5% è imputabile agli enti locali. Facendo cento la spesa, solo il 7,5 si può attribuire ai Comuni. Dopo sei anni diciamo basta. Quando si parla di spesa nei Comuni bisogna sapere che cosa significa: asili nido, scuole materne, assistenza domiciliare, riassetto del territorio e promozione cultura. Siamo stufi di sentirci spiegare come bisogna gestire i Comuni da dirigenti ministeriali che un Comune non lo hanno mai visto. E non hanno mai amministrato nemmeno un condominio».

Insomma, volete più soldi?
«No, non vogliamo neanche un euro in più. Vogliamo che la forbice si fermi. I trasferimenti di fondi ai territori ormai sono a zero, gli unici quattrini che lo Stato dà sono per la Sanità e il Trasporto Pubblico, in misura insufficiente. Tutto il resto i Comuni se lo pagano già da soli. Nel momento in cui noi ci paghiamo i servizi è paradossale che qualcuno ci dica come spendere i soldi».

Nel 2016 debutterà la “local tax”. È d’accordo con l’impostazione del governo Renzi?
«Della local tax eravamo già pronti a discutere a novembre. Vorremmo che sia introdotto un principio semplice: i tributi locali siano di competenza esclusiva della città. Oggi non è così, ci sono quote di compartecipazione dello Stato, come sull’Imu seconde case: il 50% va nelle casse dello Stato. Tocca al sindaco calibrare le “sue” tasse, rispondendo ai cittadini. Basta con l’invasione di campo dello Stato su come si governano le città: vincoli di spesa, di personale, sul fisco e sugli investimenti».

Volete avere mano libera?
«Chiediamo una svolta basata sul binomio responsabilità e autonomia. Lo Stato ha il diritto e il dovere di stabilire ogni anno i macro-obiettivi. Come realizzarli lo si lasci all’autonomia dei sindaci. Si fissa un risparmio di spesa dell’1%? Bene, deciderà ogni Comune come fare. Misure utili a Torino non è detto che siano opportune a Napoli o a Venezia. La pretesa che un burocrate di un ufficio romano sappia come intervenire nella gestione di 8 mila Comuni è piuttosto presuntuosa e velleitaria».

Cosa chiederete in prima battuta al governo?
«Un decreto enti locali che contenga la ricostituzione di un fondo perequativo sulla Tasi di 625 milioni per evitare che 1.800 Comuni nel passaggio dalla vecchia Imu alla Tasi abbiano un minore gettito. Va affrontato il tema fiscalità sui terreni agricoli e montani e si devono trovare soluzioni per dare risorse alle Città metropolitane».

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