Mercoledì 8 Maggio 2024

Il Capo d’Angiò nella Chiesa di San Domenico

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Una conferma della datazione dell’edificazione di Santa Maria Nuova (San Domenico) al periodo storico corrispondente al regno di Carlo I ci viene dalla presenza sulla facciata della chiesa, sopra il portale d’ingresso, di uno stemma angioino.

Lo stemma presenta in alto un lambello (comunemente chiamato rastrello) con quattro pendenti e tre gigli tra gli spazi dei pendenti, e altri gigli nella parte inferiore. La scultura raffigura in alto il cosiddetto Capo d’Angiò, ovvero una onorificenza che venne introdotta per la prima volta in Italia da Carlo I d’Angiò, che concesse questo titolo onorifico a città e famiglie a ricordo della vittoria ottenuta su Manfredi a Benevento. Numerose furono le città che ottennero questo riconoscimento, soprattutto in Toscana e in Emilia Romagna: tra le altre, Prato, Massa, Cesena, Montevarchi, Poggibonsi. Lo stemma sulla facciata è molto simile a quello della città di Prato, città che ebbe un periodo ghibellino quando nel 1240 accolse l’imperatore Federico II, che vi costruì il nuovo castello imperiale sui resti del castello degli Alberti. Al termine della guerra tra guelfi e ghibellini, la città passerà dalla parte guelfa e appoggerà Carlo d’Angiò, il quale le concederà l’onore di avere il Capo d’Angiò sullo stemma.

 Inoltre, su Palazzo Vecchio a Firenze è possibile notare un’insegna simile, dipinta tra i beccatelli in alto della facciata, nello spazio ottavo. Lo scudo è composto da un seminato di gigli d’oro e rastrello in capo con quattro denti e tre gigli frapposti, come a San Domenico. Fu concesso da Carlo I d’Angiò ai Fiorentini come ricompensa per aver ricevuto il loro aiuto nella guerra contro Manfredi di Sicilia e per aver ottenuto il governo della città dal 1267 al 1278. Si può ipotizzare che l’arme con il Capo d’Angiò venne concesso alla città di Manfredonia, perché il conte Manfredi Maletta, Gran Camerario del Regno, signore dell’Honor Montis Sancti Angeli, con giurisdizione su Monte Sant’Angelo e sulla nuova città di Manfredonia, dopo aver abbandonato il campo di battaglia a Benevento, insieme a buona parte dei nobili del regno, tornò indietro e si arrese a Carlo D’Angiò consegnandogli il tesoro regio. Questo cambiamento di campo del conte Maletta è attestato da una lettera inviata il 25 marzo 1266 da papa Clemente IV al cardinale Ottobono Fieschi (futuro papa Adriano V). Precisiamo che l’onoreficenza del Capo d’Angiò, di cui qui si parla, è differente rispetto allo stemma regale di Carlo I d’Anjou, in quanto su quest’ultimo i denti del rastrello sono tre e non quattro, i gigli sono disseminati su prato blu ed il lambello si sovrappone ad essi.

Altri scudi angioini a Manfredonia non ci sono pervenuti, a causa di vari saccheggi che hanno distrutto la vecchia città medievale. Numerose armi reali angioine erano scolpite lungo la scalinata realizzata da Carlo I nel santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo. Le stesse verranno distrutte dalla furia devastatrice dei Repubblicani francesi quando, nel marzo del 1799, saccheggiarono il santuario di San Michele (G. Piemontese, San Michele e il suo santuario Via sacra Langobardorum, Bastogi Editrice Italiana, anno 1999, pag. 60). Non è possibile quindi fare raffronti con altri stemmi delle città vicine, se non con quelli di Lucera, dove però non si trova raffigurato il Capo d’Angiò, perché all’epoca di Carlo I era una città saracena e quindi non certamente di parte guelfa.

Arch. Michele Di Lauro

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Commenti

  • Bell articolo di storia,complimenti!

    Partito della Zappa 12/04/2017 23:14 Rispondi

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