Domenica 28 Aprile 2024

L’omelia di Natale dell’Arcivescovo Moscone

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Cari fratelli e sorelle, innanzitutto, il saluto di Natale raggiunga ogni nostro cuore: “E il Verbo si fece carne e venne admabitare in mezzo a noi”.

Ieri sera ho fatto un po’ il birichino. Ufficialmente dovevo essere presente qui in cattedrale, invece ho scelto un altro luogo per la celebrazione della messa della notte di Natale: sono stato nella piccolancomunità, la più periferica per noi, di Borgo Mezzanone, vicino a Foggia ma ancora territorio del nostro Comune e della nostra Città, oltre che di diocesi. L’ho fatto pensando, oltre che ai testi del
Vangelo, ad una omelia di don Primo Mazzolari, questo grande prete che, come lo chiamò Giovanni XXIII, “tromba dello Spirito Santo in Pianura Padana”, negli anni post bellici, prima del concilio.

Don Mazzolari definiva il Natale “un grande dono per la povera gente”.

E poi aggiungeva un’immagine legata al mare, quindi più consona a noi che nelle lande nebbiose della Pianura Padana: “il Natale è come l’alta marea. Raggiunge tutti i limiti e raggiunge anche che coloro che sono stati
messi ai limiti o allontanati”. E’ così che dobbiamo vedere e sentire questa festa, che per noi, per la nostra sensibilità, è quella che riteniamo più vicina, più nostra, più bella, più intima. Una festa che ci porta fino ai margini, che ci porta alle periferie più lontane, quelle geografiche (e sono tante). Ogni amministrazione, ecclesiale e civile, ha le sue periferie. Vale anche per noi, sia come diocesi che come città. Periferie geografiche e poi le tante esistenziali. Questo è stato il motivo della mia assenza di ieri, per ricordare il valore ed il bisogno della “periferia”, per portare là la “marea del Natale”, la presenza del Signore; e da lì riportare il Signore al centro geografico della nostra esistenza, al centro vitale dei nostri cuori, dei nostri pensieri e del nostro agire.

Abbiamo ascoltato la 2^ parte dei quella che si chiama l’adorazione o l’annunciazione dei pastori a Betlemme. Chi erano i pastori? Erano in quell’epoca veramente gli ultimi della graduatoria civile e religiosa, erano l’elemento più basso della società e del credo ebraico perché erano considerati, dal punto di vista religioso, degli impuri perché convivevano con gli animali e, dal punto di vista sociale, erano considerati dei ladri perché non rispettavano i confini passando con le loro greggi da una parte all’altra.

Gli ultimi per il tempio e gli ultimi per la società civile organizzata ma è a loro che Dio, attraverso gli angeli, anzi – come scrive S. Luca – l’intera corte celeste degli angeli si fa presente per portare l’annuncio con cui cambierà la storia dell’umanità: Dio si è fatto presente in carne ed ossa in mezzo a noi, è diventato uno di noi. Si sarebbe pensato che questo annuncio arrivasse ai dirigenti, ai grandi sacerdoti, agli esperti di religione e di vita sociale; invece no. Dio ha scelto l’ultimo della Terra, il disprezzato sia dal punto di vista religioso che civile. E da questi ultimi, da questi pastori
abbiamo ascoltato– a mio giudizio – la definizione più chiara, più netta, più concreta della nostra fede: “andiamo a vedere questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. La nostra fede nel Signore incarnato, crocifisso e risorto non è una teoria, non è una morale (lo diventa dopo) ma è, come primo passo, un avvenimento, un fatto che è entrato nella storia e nella geografia del nostro mondo e nella storia e nella geografia di ogni persona che si apre a lui.  E’ un avvenimento, l’avvenimento di una Parola, quella di Dio che s’incarna. Questo dobbiamo ricordarlo ed è bello che i primi a capirlo e ad annunziarlo, con parole che superano ogni teologia ed ogni filosofia, siano stati
gli ultimi dell’epoca. Allora è vero quello che poi dirà il Signore Gesù nella sua predicazione: “che gli ultimi saranno i primi ed i primi gli ultimi”. E questo è diventato segno, fin dal primo momento, del suo presentarsi sulla faccia della Terra.

Vorrei legare il Natale a tre parole che, credo, stiano dentro al testo che abbiamo ascoltato e
nell’insieme dell’immagine natalizia del presepe: casa, lavoro e pane. Innanzitutto Natale è casa.
Senza una casa non si fa famiglia, senza una casa non si fa città, non si costruiscono relazioni degne
e capaci di futuro. Quante persone, ancora oggi, sono prive di una casa degna? Nel nostro territorio
ci sono città fatte di case che sono baracche e sono invisibili alla realtà organizzata della nostra vita.
E forse a molti conviene che sia così perché se non si vedono certe realtà non si interviene e diventa
comodo per tutti, per chi sfrutta e per chi si lascia sfruttare perché non ha altra via per campare. Ma
ci sono anche case costruite nelle nostre città che poi vengono assegnate a persone senza diritto mentre
erano state fatte scelte per chi era in difficoltà. E’ un inganno, è un’ingiuria al bene comune ed alla
giustizia. O c’è l’interesse a costruire case che sono inadatte poi a fare famiglia perché troppo piccole
e pensate unicamente per individui, mentre l’uomo e la donna sono fatti per crescere insieme, per
essere persone in relazione, per far crescere l’umanità. Senza case autentiche non costruiamo società,
non facciamo Natale. Natale quindi dice innanzitutto casa e denuncia la carenza o la costruzione di
case in modo scorretto e mal utilizzato.

Natale è anche lavoro. L’omelia del Papa di ieri sera ha avuto un passaggio fondamentale sul
significato e sul bisogno del rispetto del lavoro. Senza lavoro non c’è futuro per l’uomo, non c’è
dignità per la persona, non c’è rispetto dei doni di Dio ricevuti; ma anche il lavoro che dignifica
l’uomo deve essere degno. Non tutto ciò che chiamiamo lavoro è tale e lo sappiamo bene anche,
purtroppo, sul nostro territorio. Quante tipologie di lavoro che sono sfruttamento ed interesse di parti
forti a disprezzo dei deboli (ed anche le ultime vicende giudiziarie ce lo hanno rimesso in luce, se non
lo avessimo visto o avessi cervato di guardare da altre parti).

Chiamiamo irregolari tanti lavoratori e sembra un puntare il dito verso di loro ma, diciamoci la verità, gli irregolari non sono coloro che stanno lavorando sfruttato ma irregolari sono coloro che utilizzano questo sistema e sfruttano.
Irregolari sono certe tipologie di imprenditorialità della nostra società che ha inventato ed è ricca di
democrazia, ma se non cura questi aspetti distrugge anche se stessa ed il suo futuro. Sono anche un
po’ preoccupato per la situazione della nostra Città e dei tanti LSU, i lavoratori socialmente utili, che
hanno costituito in questi ultimi anni un po’ la struttura portante delle attività della Città.

E’ stata scorretta la modalità, non si poteva costruire una città mettendo il cardine su questo tipo di lavoratori
che dovevano essere aiutati; ma, purtroppo, è stato così ed oggi c’è il rischio, per motivi anche di
legge e di burocrazia, che tutto improvvisamente si blocchi, molti perdano il lavoro e la Città rischia
di bloccarsi ancora di più, invece di rialzarsi e ripartire. Come vescovo è mio dovere denunciare
questa situazione e, nello stesso tempo, appellare a chi può, di porre rimedio perché la nostra Città e
tante persone possano veramente ripartire in modo degno e non frenarsi per scelte politiche sbagliate,
di interessi di parte o di una burocrazia che non sa guardare negli occhi delle persone, ai loro cuori
ed al loro bisogno di futuro. Forse è un appello troppo duro, non è un pensiero di Natale mentre credo
che sia veramente un pensiero di Natale da portare al presepio, di portare di fronte a Colui che si è
fatto ultimo e si è fatto conoscere per primo proprio dagli ultimi.

La terza parola è pane. Natale è anche pane. Il nome di Betlemme significa “città del pane”. Quante
città, anche nel nostro Gargano, nella nostra Puglia, sono considerate città di panificatori. Il pane ci
ricorda tantissime cose, realizza e tocca tutti i nostri sensi, compreso l’olfatto, il profumo; quando
sentiamo profumo di pane ci rendiamo conto che c’è veramente profumo di relazioni vere e di città.
Abbiamo bisogno di pane non solo per sfamare la nostra vita fisica ma per sfamare, essenzialmente,
i nostri bisogni di relazione e di futuro che deve crescere e svilupparsi. Dio non solo si è fatto carne
come noi ma si è fatto anche pane per noi. Carne come noi e pane per noi, perché di Lui ci potessimo
alimentare e di Lui, con il nostro modo di vivere corretto, portassimo il suo profumo ed il profumo di
Dio e dell’umanità vera.

Casa, lavoro e pane: siano questi i 3 doni che chiediamo al Signore Gesù che viene, come regali,
come doni grandi di Natale, per tutti noi, povera gente. E chiediamo che vengano portati fino ai limiti
di tuti inostri territori e delle nostre città perché nessuno sia senza casa, senza lavoro degno e senza
pane.

Amen.

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