Sabato 27 Aprile 2024

Manfredonia, Centenario della Fondazione del Partito Repubblicano (seconda parte)

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Una pagina di storia raccontata dall’Arc. Michele Di Lauro che ringraziamo.

Il deputato repubblicano Giovanni Conti rivolse la seguente interrogazione al governo: Interrogo il Presidente del Consiglio, ministro dell’Interno, sui luttuosi fatti seguiti a Manfredonia il 2 Aprile. Conti.”. Antonio Casertano, sottosegretario all’interno del primo governo Facta (26 feb.1922-1 ago. 1922), confermò la colpevolezza del Simone e dei fascisti. Nella seduta alla Camera dei deputati del 17 giugno 1922 l’onorevole avv. Casertano rispose all’interrogazione ammettendo che “arrivati [i fascisti] presso la dimora del sindaco partirono dalla parte dove questi era con i suoi amici, parecchi colpi di rivoltella che ferirono tre individui che forse non avevano parte nella contestazione[…] per tale atto il commissario di pubblica sicurezza irruppe nella casa ed arrestò il sindaco e 26 individui, e repertò alcune armi, tra cui varie cartucce, di cui alcune di recente esplosione, quattro rivoltelle, un coltello.”. L’episodio creò una grande ondata di risentimento popolare che portò alla richiesta, da parte di circoli e organizzazione cittadine, di scioglimento del Consiglio Comunale e di nomina di un commissario nella persona di Vincenzo Capparelli, già sindaco della città e antagonista politico di Pietro Simone. Purtroppo il prefetto, favorevole ai fascisti, non accolse la richiesta. Di lì a breve alcuni facinorosi sipontini cercarono di provocare incidenti e di vendicarsi contro gli antifascisti durante laFesta degli alberi che all’epoca si svolgeva il 14 maggio. Nel programma dei festeggiamenti (1922) era previsto che tutti gli alunni delle scuole, con i loro insegnanti e con le autorità cittadine dovevano recarsi alla pineta antistante il castello (Fig.1) per spiegare il significato simbolico della festività mettendo a dimora, a scopo dimostrativo, numerose acacie.

 

Fig.1 Pineta antistante il castello angioino di Manfredonia. (Fine anni 40 del Novecento)  Cartolina della Ditta Antonio De Francesco, commerciante repubblicano e antifascista.

Tutto si svolgeva con la massima armonia, e fra il massimo compiacimento dei presenti alla manifestazione, fino a che non risuonarono le note dell’inno reale. Ad un certo punto furono rivolte imprecazioni ed invettive nei confronti del repubblicano Francesco Scardino segretario del partito e musicista della banda della città perché “non poteva suonare l’inno perché non gli fu data la partitura che egli aveva richiesto”. Come conseguenza si cominciarono a sentire “le solite grida di “viva il Re, viva la monarchia, a cui fu risposto da alcuni repubblicani e socialisti “Viva la Repubblica sociale, Viva il socialismo””. La forza pubblica carica i “sovversivi” fino a disperderli, “mentre i poveri bambini, tremanti di paura, scappavano piangendo.”1. L’articolo che narra gli avvenimenti (“Il Lampo” del 19 maggio 1922) prosegue biasimando l’accaduto e mettendo in risalto che non era quello il modo di risolvere l’astensione dal suonare l’inno reale da parte dell’orchestrale Scardino, “ (il quale anche in altre circostanze si era regolato nell’istesso modo) non suonava l’inno reale” e provocare incidenti inconsulti alla presenza di tanti bambini, che poveretti, “rimasero fortemente scossi dallo spavento”. L’autore dell’articolo pone, in calce allo stesso, la lettera di dimissioni dell’amico Scardino indirizzata al Prof. Vito Berardi direttore del Corpo musicale di Manfredonia. Nella lettera si sottolinea che la causa dell’incidente non era certamente da addebitare a lui. Lo Scardino (fig. 2) scrive che era noto al direttore che era rientrato a far parte del Corpo musicale della città sotto l’espressa condizione di astenersi dal suonare la marcia reale, e ciò in omaggio alla sua idea repubblicana, e questa condizione è stata rispettata in molte occasioni.

Fig. 2 Ritratto di Francesco Paolo Scardino (anni 20 del Novecento) (Foto scattata in collaborazione con il fratello Costantino anch’egli fotografo) Di Giuseppe e di Margherita Potenza, nato a Manfredonia il 2 gennaio 1896, fotografo e sarto, ex combattente. Fu segretario della sezione del partito repubblicano di Manfredonia finché non fu disciolta. Assegnato al confino politico a Favignana nel novembre 1926. (Fonte Casellario Politico Centrale) ANPI

Quindi i cittadini presenti alla manifestazione non si sarebbero dovuti sorprendere se egli, come di consueto, non suonò la marcia reale, anche perché non aveva ricevuto la partitura da imparare così come in altre circostanze. “Perciò l’increscioso accaduto di stamane non è imputabile a lui, che ha serbato un contegno correttissimo sino al punto di accostare l’istrumento alle labbra fingendo di suonare, ma a coloro i quali, elevandosi a patrioti di occasione, hanno voluto rilevare una inezia alla presenza di tanti bambini ed in una pubblica festa, senza considerare che il fatto poteva essere causa di gravi incidenti.” Proseguendo, dopo la lettera di dimissioni così scrive: “Perciò, signori patrioti, continuate pure a far suonare, non quattro volte consecutive come ieri alla festa degli alberi, ma sino alla noia, la marcia reale, che, intendete bene non è…. nazionale; smettete però questo vostro cicaleccio e lasciatemi in pace.” Dopo la lettera di dimissioni indirizzatagli dallo Scardino il prof. Berardi, in preda ad un isterismo quasi maniacale, andò su tutte le furie e non ebbe più pace. “…I patrioti che schiamazzavano, la mia lettera, la commissione d’inchiesta, era roba da far uscir davvero chiunque dai gangheri,.”2 Così scrive Francesco Scardino in un articolo riportato sul Giornale di Foggia “Il Lampo” del 25 maggio 1922 dal titolo emblematico Per la verità”. La vera versione dei fatti venne riportata dalla commissione d’inchiesta, istituita subito dopo la Festa degli alberi, che ritenne il maestro Berardi il vero responsabile degli incidenti avvenuti il 15 maggio. Dalla lettura di un articolo apparso su La Voce Repubblicana del 1° settembre 1923 si può trovare conferma dell’accaduto, a completamento delle indagini storiche sull’episodio, stabilendosi che, comunque, la scintilla scatenante dell’incidente della Festa degli alberi del 1922 sia da addebitare alla fobia repubblicana” del direttore del concerto bandistico di Manfredonia maestro Berardi. “Regnava già in questo paese un grande malcontento contro il direttore del concerto bandistico cittadino, maestro Berardi, per le miserevoli condizioni in cui aveva trascinato il concerto stesso e per gli incidenti, cui aveva dato luogo con la sua fobia repubblicana. In seguito… l’agitazione si è andata intensificando tanto da costringere il Berardi a non presentarsi più in orchestra e ad avanzare una richiesta di aspettativa che è stata subito concessa dalla Giunta comunale.”3 Nel mese di Luglio del 1922 ci fu un tentativo di chiusura della sede della sezione repubblicana ad opera del commissario degli alloggi, cav. Prima. Il tentativo venne descritto dal periodico “Il Lampo” di Foggia del 6 luglio 1922. Nell’articolo si legge che il Commissario degli alloggi cav. Prima assegnò un locale di Antonio De Francesco, adibito ad uso ufficio da oltre 15 anni, ad un tale per uso abitazione senza giustificata necessità, solamente perché il locale era stato ceduto alla sezione del partito repubblicano con regolare contratto registrato. Il 4 luglio doveva essere eseguito lo sfratto con l’ausilio di carabinieri mandati di rinforzo da Foggia. L’ufficiale giudiziario addetto all’esecuzione “…notò un errore procedurale e si rifiutò di prestarsi. E fu una gran ventura per le spiacevoli conseguenze che sarebbero potute scaturire da uno sfratto violento…”4 Difatti duecento persone, soci della sezione repubblicana e lavoratori simpatizzanti, si erano costituiti in un comitato di difesa presso la casa di Antonio De Francesco, decisi ad opporsi a un tale sfratto scellerato, nonostante l’esortazione dei dirigenti il partito alla calma. Il 30 luglio 1922 verrà eletto il nuovo comitato direttivo del “Circolo Giovanile” repubblicano che riuniva buona parte della gioventù operaia di Manfredonia. Il nuovo comitato risulta formato da:” Di Sabato, segretario; Cataleta, cassiere; e De Vita, Caratù, Murgo, Beverelli, e De Padova, consiglieri.”5 Quello stesso giorno sarà eletto il triumvirato costituito dal dott. Spagnuolo, l’ingegner Gatta e Mario Simone che reggerà la nuova sezione del P.R.I. di Manfredonia. Il mese successivo, il 22 agosto, Manfredonia ospiterà il segretario politico della Federazione giovanile repubblicana, la più grande organizzazione giovanile italiana. Il giovanissimo Oronzo Reale* (futuro ministro della Repubblica), tenne un comizio alla “Casa Repubblicana”, affollatissimo anche per la partecipazione di molti socialisti e della Sezione Combattenti. Il comizio fu molto apprezzato e scatenò l’entusiasmo del pubblico e “…il giovane oratore fu abbracciato e baciato finanche da estranei ed avversari.”. L’articolo su “Il Lampo” del 28 agosto 1922, che riferisce del comizio, termina con una lode “…all’ottimo segretario del Circolo Giovanile <G. Oberdan> all’amico Di Sabato ed a tutti quelli altri amici che seppero organizzarla”. Lo spartiacque delle lotte sociali e politiche nella città fu sicuramente la Marcia su Roma. Due giorni dopo, il 30 ottobre del 1922, i fascisti irrompono nella sede della Camera del lavoro al Corso Manfredi civ. 89, impossessandosi del mobilio e dei carteggi esistenti. I camerati costituiscono quindi, in quella stessa sede, la fascista Camera Nazionale del Lavoro con a capo lo squadrista Guido Tartaglia. Le scorribande si susseguono nei mesi successivi. Basti ricordare, ad esempio, il fallito agguato da parte dei fascisti contro simpatizzanti comunisti che si erano dati appuntamento sotto l’abitazione dell’avv. Donnamaria in via Campanile 13; l’imboscata fallì perché, avvertiti, i comunisti uscirono da un passaggio secondario. Un altro episodio emblematico del clima di odio fu un’altra progettata aggressione da parte di squadristi fascisti che circondarono un piccolo locale di ritrovo nei giardini del castello per sorprendere ed aggredire i comunisti. Fortuna volle che la madre degli operai comunisti Michele e Ferdinando Bordo dette in anticipo la notizia dell’agguato ai figli6. Nell’aprile del 1923, in occasione dell’arrivo a Manfredonia del principe ereditario Umberto di Savoia (Fig. 3), vi furono episodi indicativi della caotica e contraddittoria situazione politica della città.

Fig. 3 Manfredonia 30 aprile 1923, Corso Manfredi. (Foto Valente) Visita del principe Umberto di Savoia a sinistra in fondo sull’auto regale, davanti a lui è seduto il sindaco cavalier Simone.

Bisogna premettere che, dopo la Marcia su Roma, vi erano state nuove elezioni amministrative, ovviamente falsate, che portarono all’elezione come sindaco del solito Cavalier Ufficiale Simone e, come consigliere provinciale, dell’avvocato Francesco De Padova che si presentò nella lista del fascio, quantunque, precedentemente, e non sarà l’unico caso, veniva considerato antifascista. Il ricevimento indetto in onore dell’erede al trono fu preceduto da un corteo e il principe fu accompagnato dal neo consigliere provinciale avv. De Padova che venne fischiato durante il tragitto. Un commerciante, ex fascista, fu arrestato per aver protestato contro i suoi vecchi compagni fascisti, “Due altri ex bollenti fascisti sono stati pure arrestati per aver protestato contro i metodi illegali e non riconosciuti nemmeno dal maresciallo dei RR. CC., e uno di essi, il dott. Michele Trotta è stato schiaffeggiato dall’organizzatore della Camera Nazionale del Lavoro.”7 Nel paese regnava l’anarchia, vennero sciolti altri sindacati tra i quali quelli dei sarti, dei calzolai e dei cavamonti. Alcuni giovani esponenti fascisti, spalleggiati dal sindaco, inviarono un reclamo alla segreteria provinciale fascista per dare notizia di gravi ammanchi nella cassa del partito, imputabili al presidente del Direttorio il dott. D’Onofrio e della Camera del Lavoro sig. Tartaglia, che poco dopo si dimisero dalle loro cariche. I repubblicani, in questo ingarbugliato frangente, daranno prova di “ alto sentimento patriottico non fando esca alle competizioni, se bene continuino le violenze contro di loro.”8 In previsione dell’arrivo del principe “i nostri amici furono obbligati di esporre il tricolore e affiggere cartelli osannanti alle porte delle loro botteghe, e inutile dire sorvegliati attentamente.”9 I fascisti ovviamente precedevano il corteo reale e imposero alla folla di gridare “Viva il Re”. Ai repubblicani fu fatto divieto di andare in giro di notte e anche di rimanere seduti davanti l’ingresso delle loro abitazioni. Il mese successivo l’arrivo di Umberto di Savoia, il 27 maggio 1923, mentre sostavano nella pasticceria di Adolfo Castriotta in corso Manfredi 109, ubicata quasi di fronte la sede del partito, quattro repubblicani furono violentemente aggrediti e condotti nella caserma dei carabinieri e tratti arbitrariamente in arresto. Un altro noto repubblicano, Antonio De Francesco, verrà invece prelevato dal suo negozio in corso Manfredi 101, posto nei pressi della pasticceria. Da La Voce Repubblicana del 31 maggio 1923 apprendiamo che i repubblicani portati in caserma erano: Antonio De Francesco, F.sco P. Nicola Scardino, Giuseppe Notarangelo, Raffaello Di Sabato (Fig.4) e Alfonso Mario De Padova. Tre dei cinque fermati, F. Scardino, R. Di Sabato e M. De Padova, furono arrestati e imputati di “ aver la sera del 27 maggio in Manfredonia fatta pubblicamente l’apologia della rivoluzione repubblicana”. Giuseppe Notarangelo verrà rilasciato, mentre il commerciante Antonio De Francesco verrà denunciato a piede libero “per aver determinato i primi tre a commettere il fatto anzidetto”, così come risulta dall’estratto della requisitoria del procuratore generale del re di Bari, in data 30 maggio 1924. I tre arrestati verranno scarcerati dopo sei giorni e insieme al De Francesco beneficeranno dell’amnistia nel frattempo intervenuta. Poco dopo la retata, un pattuglione di carabinieri e militi nazionali capitanati dal sindaco Cav. Uff. Pietro Simone, dal maresciallo della Benemerita e dalla Giunta municipale visitò le case dei repubblicani sottoponendole ad una minuziosa perquisizione senza nessun riscontro indiziario e con il risultato di aver ancor più inasprito “le povere famiglie dei …dinamitardi e l’intera cittadinanza non abituata a simili porcherie.”

Fig. 4 Raffaello Di Sabato, storico repubblicano e antifascista. Nato a Manfredonia il 4 gennaio 1903 dall’unione di Giuseppe e Apollonia Impagnatiello. Nel marzo 1918 si affilia alla Giovane Italia e nel 1921 divenne segretario dei Giovani Repubblicani di Manfredonia. Venne arrestato nel maggio 1923 perché autore di un libello contro il regime fascista.

 

 

 

 

Sempre dal medesimo articolo del 31 maggio 1923 apprendiamo che vi furono vari tentativi di assalto alla sede del partito in corso Manfredi 108, la sua occupazione, e inoltre bastonature, tentati omicidi e la dispersione della corrispondenza e dei giornali degli aderenti repubblicani. (Fine seconda parte)

(a cura dell’arch. Michele Di Lauro, docente di Storia dell’Arte dell’I.S. “Roncalli-Fermi-Rotundi-Euclide” di Manfredonia) (Il materiale contenuto in questo articolo può essere riprodotto, in tutto o in parte, per scopi non commerciali, purché siano citati l’autore e la fonte)

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1 Il Lampo, Giornale Politico Agricolo Sociale, Tip. E. Fuiani, Foggia, 19 maggio 1922.

2 Il Lampo, Giornale Politico Agricolo Sociale, Tip. E. Fuiani, Foggia, 25 maggio 1922.

3 La Voce Repubblicana, Quotidiano del Partito Repubblicano Italiano, Roma, 1 settembre 1923.

4 Il Lampo, Giornale Politico Agricolo Sociale, Tip. E. Fuiani, Foggia, 6 luglio 1923.

5 Il Lampo, Giornale Politico Agricolo Sociale, Tip. E. Fuiani, Foggia, 28 agosto 1922.

6 Michele Magno, Lotte Sociali e Politiche a Manfredonia (fino al fascismo), Quaderni di “Risorgimento Meridionale”, diretti da Mario Simone, tip. Salemi, Roma, pag. 98.

7 La Voce Repubblicana, Quotidiano del Partito Repubblicano Italiano, Roma, 11 maggio 1923.

8 ibidem.

9 ibidem.

* Oronzo Reale (Lecce 24 ottobre 1902- Roma 14 luglio 1988). Aderì giovanissimo al Partito repubblicano. Da Lecce, sua città natale, si trasferì a Roma dove si iscrisse inizialmente ad ingegneria per passare poi alla facoltà di giurisprudenza. A Roma venne eletto, nel febbraio 1921, segretario della Federazione giovanile repubblicana. Nel 1926 evitò l’arresto dandosi alla clandestinità e successivamente divenne sorvegliato speciale e di conseguenza abbandonò l’attività politica. Nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d’Azione. Nel 1945-46 divenne membro del Comitato Nazionale. Solo nel 1947 ritornò a far parte del P.R.I. di cui fu segretario politico dal 1949 al 1963. Nel 1958 venne eletto deputato ed entrò, come ministro di Grazia e Giustizia, in tutti e tre i “Governi Moro”. Il suo nome è legato alla legge n. 152 del 1975, più conosciuta con il nome di “legge Reale”, con la quale si riformava il processo penale e che ebbe soprattutto notevoli conseguenze sull’ordine pubblico. Dal 1977 al 1986 fu giudice della corte costituzionale.

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