Martedì 23 Aprile 2024

"Il servitore di due padroni" di Antonio Latella dopo Manfredonia va in scena a Foggia

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È andato in scena il 22 e 23 a Taranto al Teatro Orfeo, il 24 a Manfredonia (Fg) al Teatro Lucio Dalla e oggi è in programma a Foggia al Teatro del Fuoco, “Il servitore di due padroni” di Carlo Goldoni, riscritto da Ken Ponzio con la regia Antonio Latella. Vincitore di numerosi premi,  ex attore, e regista di grandi opere applaudite nei teatri italiani ed europei, Antonio Latella ha firmato e riscritto con Ken Ponzio la commedia di Goldoni che ha come protagonista il servitore più famoso al mondo, Arlecchino, che si chiamerà Truffaldino come nell’opera originale.

“Nella riscrittura de Il servitore di due padroni non ho potuto non tener conto degli innumerevoli cambiamenti che sono avvenuti nel corso di più di due secoli e mezzo”  sono le parole dell’autore Ken Ponzio. Così ha voluto restituire ai personaggi “veneziani” gli impulsi delle loro maschere originali assieme ad alcuni tratti “provinciali” che tanto caratterizzano noi italiani. Mentre a quelli “torinesi”, seguendo una brillante intuizione di Antonio Latella, ha aggiunto una nota francese nella lingua, riferisce sempre Ponzio. I personaggi parlano tutti la lingua italiana d’oggi tranne Pantalone il quale, orgoglioso delle proprie origini e troppo potente per adeguarsi alla lingua altrui, parla in veneziano. Il servitore, che è fuori dal tempo, è stato lasciato fuori da ogni convenzione facendogli liberamente parlare una lingua mista di lombardo, veneto e italiano.  Il servitore di due padroni sviluppa il tema della menzogna. Non c’è una figura onesta sulla scena. Tutto è falso, è baratto, commercializzazione di anime e sentimenti. Resta il vuoto e il sorriso beffardo delle maschere. Il vuoto, forse l’orrore della nostra contemporaneità. “L’orrore dell’uomo che davanti al peso del denaro perde peso” viene riferito. Secondo Latella quando si parla di menzogna si parla di teatro. Il teatro è un artificio che si nutre di menzogne. La questione per il regista è tutta qui e cioè come mentire per avvicinarsi alla verità, richiamando Shakespeare: la scena cruciale del Servitore ricalca la pantomima dell’Amleto.

Il regista si è nuovamente misurato con l’opera di Carlo Goldoni, in precedenza portò in scena “La trilogia della villeggiatura”. Per quanto riguarda il suo rapporto con Goldoni, si tratta di una fascinazione antica, che risale ai tempi in cui faceva l’attore sotto la guida di Massimo Castri al quale ha voluto dedicare lo spettacolo. Ha coinvolto l’autore Ken Ponzio, con cui aveva già collaborato nel progetto “Auguri e figli maschi !” . Di  Ken il regista apprezza la cifra minimalista, la tensione costante all’essenziale, la capacità di sintesi, che probabilmente, gli deriva, dalla grande passione che nutre per la drammaturgia inglese. Inoltre  Ken prima di essere un autore è stato un attore, per cui sa bene che “le parole scritte dovranno essere dette, vissute in scena… masticate”  ha sottolineato.

Il legame che lega Arlecchino a Beatrice è stato cambiato, in quanto non è più il suo servitore, ma suo fratello. Così facendo il personaggio di Beatrice risulta più ambiguo, nell’affetto che lega i due personaggi. Inoltre Arlecchino oltre ad avere una nuova identità, compare in scena senza maschera perché dietro quella maschera si cela la possibilità di andare oltre il testo. Latella vuol fare andare lo spettatore oltre l’incredibile moltitudine di equivoci che Goldoni ha disseminato nella commedia, che abbiamo sempre visto ma su cui forse non ci si è soffermato abbastanza, agganciandovi l’odierno.

Comunque anche se per questa opera l’allestimento rispetto agli ultimi spettacoli di Latella pare  essere molto più classico, arrivando persino a utilizzare la quarta parete, il sipario e, per la prima volta gli attori non saranno già tutti presenti sul palco ma entreranno “in battuta” , ha creato un grande clamore. La reazione degli spettatori di Venezia, e successivamente di Padova, è probabilmente in gran parte dovuta ad un legame particolare tra questo pubblico e Goldoni e a un modo di leggerlo e metterlo in scena. Certamente la versione di Latella non è quella tradizionalmente e convenzionalmente abituale di questa opera, ma una diversa e nuova lettura che intende riaffermare la modernità del teatro di Carlo Goldoni non sottraendosi al confronto con una delle versioni più riuscite di questo testo che è la storica versione di Giorgio Strehler.

Alla fine dello spettacolo, gli attori ritornano a recitare il testo di Goldoni così com’è, poiché quelle parole, scrostate dalla patina della tradizione, sono già di per sé rivoluzionarie. Non dimentichiamoci che sono il frutto di una volontà ben precisa, quella di dare forma scritta a un tipo di teatro che era improvvisazione, quindi rivoluzionario ed innovatore. Sempre secondo Latella oggi la nostra società utilizza il sorriso più come una maschera che come qualcosa di liberatorio. Il sorriso abusato, ostentato, è diventato come una paresi. Per i costumi ha firmato la Zaccheria. Arlecchino non avendo la maschera, non indosserà nemmeno il classico abito a losanghe colorate. Il suo costume, infatti, non possiede alcun colore, è totalmente bianco. Arlecchino neutralizzato è una pagina bianca con cui gli altri personaggi devono fare  i conti, ciascuno con la propria personalità. Quindi ci sono attori che indossano abiti anni ’50, altri che vestono costumi settecenteschi, altri ancora alla  moda contemporanea. Le luci sono state curate da Robert John Resteghini, il suono da Franco Visioli e assistente alla regia è Brunella Giolivo. Lo spettacolo è stato prodotto da ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione, dal Teatro Stabile del Veneto  e dal Teatro Metastasio Stabile della Toscana.

Vito Piepoli

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