Sabato 11 Maggio 2024

La mia Acqua di Cristo

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Le gare

Per le gare cittadine i professori di Educazione Fisica degli Istituti Superiori (Ragioneria, Magistrale, Liceo Scientifico, Ginnasio e Classico, Nautico, Professionale Marittimo) avevano tracciato un percorso intorno ad una cava di pietra dismessa in località “Acqua di Cristo” perché si avvicinava molto a quello che i qualificati avrebbero affrontato nella gara provinciale: ricco di pietre e di ghiaia di tutte le dimensioni.
“L’Acqua di Cristo” era un luogo particolare.
Era lontano dalle ultime case per cui non ci si andava mai da soli.
Era la comoda discesa a mare dalla scogliera che partiva dalla spiaggia cittadina e andava lentamente alzandosi e abbassandosi, nervosamente sporgendosi e rientrando, andava verso il promontorio da cui all’alba si alzava il sole.
Gli ultimi due gradini della discesa a mare erano scogli sbiancati e levigati dall’uso, a forma di grandi ferri di cavallo e tra essi, dalla costa sgorgava un’acqua salmastra dalle note proprietà terapeutiche (intendasi : lassative ); si narrava che un cavaliere in odore di santità (era Gesù Cristo in persona ?!) avesse abbeverato a quella fonte, dopo se stesso medesimo, anche il suo grande e poderoso destriero bianco (era uno stallone arabo?), il quale aveva impresso colà le sue enormi indelebili orme (chissà perché in tutte le favole o narrazioni mitologiche i cavalli importanti siano sempre grandi e imponenti destrieri bianchi!).
Era distante dalle ultime case, perciò non ci si andava mai da soli.
D’estate, quando eravamo piccoli, la zia Dora, di buon mattino, ci riuniva tutti: eravamo almeno cinque o sei tra fratelli e sorelle, normalmente sette ma ne mancava sempre qualcuno per un motivo o per l’altro; per andare al mare io e mio fratello Tonino indossavamo una canottiera di cotone bianca millerighe a spalline strette, il costumino di lana, che in acqua diventava di piombo tanto si inzuppava e che spesso bisognava trattenere con una mano per far sì che le onde non te lo sfilassero delicatamente ma inesorabilmente dai fianchi, e gli zoccoli alti di legno massello,ma leggero, forniti di una indispensabile, sottile, larga fascia di cuoio grezzo, ruvido internamente sul piede, ma liscio e lucido all’esterno, inchiodata su ambo i lati (che piacere camminare con gli zoccoli! Che musica ritmata riuscivamo a creare lungo le lastre di pietra e di basalto delle strade del centro! Pur non avendo ancora mai visto film di Fred Astaire e Ginger Rogers il tip-tap nasceva spontaneo, unico inconveniente imprevisti colpi secchi su i malleoli che ci lasciavano senza fiato e senza musica); intanto mia zia, aiutata dalle mie sorelle maggiori, affilava in un grande canovaccio numerose fette di pane a mezza pagnotta, in un altro raccoglieva tanti pomodorini rossi pizzuti e percoche succose o grappoli d’uva dagli acini piccoli piccoli, dorati dorati – mio padre la chiamava uva baresana-, quindi li annodava e li infilava in una rete di rafia a maglie strette insieme ad una ex bottiglietta di gassosa col tappo di sicurezza apri e chiudi piena di olio extravergine di oliva; eravamo finalmente pronti : si andava al mare dell’Acqua di Cristo!
Appena giunti sugli scogli deponevamo le canottiere nelle mani di nostra zia, scalciavamo gli zoccoli in un angolo recondito e via di corsa nella mischia degli altri bambini che già si stavano tuffando in mare; i tuffi venivano eseguiti in tutti gli stili di nostra conoscenza: di piedi, di culo, di testa (che era sempre una panciata), con capriole in avanti (non era per tutti), che io per paura non eseguivo mai, mentre il mio preferito era quello di testa con variante alla Tarzan, ossia lunga rincorsa, urlo tuonante e tuffo alla Johnny Weissmuller, l’unico, inimitabile eroe della jungla, come risultava da tutti i film del genere visti al cinema parrocchiale.
Però dopo i primi quattro o cinque tuffi la situazione si complicava maledettamente, il costume di lana diventava di piombo e, sebbene rannicchiati in un angolo nascosto riuscivamo a strizzarlo, ciononostante appena bagnato tendeva a scappar via, pertanto tuffarsi con una mano alla vita ci rendeva un po’ goffi, un po’ ridicoli: era il momento per la pausa della colazione che ci rinfrancava e ci permetteva di asciugarci (compreso il costume).
Per la colazione la zia Dora si poneva con il canovaccio del pane di fianco alla sorgente, noi tutti, i nipoti e le nipoti, avvolti ognuno nella propria “tovaglia” bianca misto lino, un po’ grezza, un po’ ruvida, recupero di lenzuola bucate, seduti come beduini in semicerchio intorno a lei, che scioglieva il nodo del fazzolettone, prendeva una fetta di pane alla volta, la bagnava nell’acqua salmastra corrente, la strizzava delicatamente per non romperla e l’assegnava ad ognuno partendo dai fratelli maggiori che, intanto, avevano aperto l’altro canovaccio con la frutta e i pomodorini pizzuti, ciascuno ne metteva una manciata in grembo e, smozzicandoli uno alla volta, li strusciava sulla fetta di pane, poi la allungava verso la zia che teneva in mano la bottiglietta dell’olio con il pollice a chiuderla non completamente affinché le permettesse di condire ogni fetta con una rapida “croce”.
Dopo il pane e pomodoro, la zia spezzettava i grandi graspi di uva baresana, affinché ciascuno se ne cibasse e spesso la colazione terminava in guerra perché, siccome eravamo gli uni contro gli altri armati di quegli acini piccoli piccoli, dorati dorati, dolcissimi, pienissimi di chicchi, ci rincorrevamo sputandoci addosso i semini fintanto che la zia non ci riportasse all’ordine sgridandoci con veemenza.
Qualche anno più tardi in quella zona nacque un lido balneare : “La Piscina”; avevano portato sabbia dalla spiaggia e sparsa intorno ad una piscina che utilizzava, dicevano, l’acqua del mare distante qualche decina di metri; che idea geniale andare al mare per fare il bagno in piscina!
Il lido terminava contro una rete metallica che segnava il perimetro del Petrolchimico che nasceva quasi contemporaneamente :esemplare cattedrale, ormai abbandonata, nel deserto della industrializzazione del Meridione.
Da poco, proprio su gli scogli di fronte alla fonte salutare, è stato varato un ristorante a forma di una grande barca: gli scempi del territorio quasi mai producono una ricchezza duratura !
Anzi, siccome la nostra costa è a rischio erosione, è probabile che il mare si riprenda entro la fine del secolo i siti che gli uomini hanno profanato!

Fiorenzo Fiale

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