Mercoledì 24 Aprile 2024

Cronaca (quasi) Quotidiana del viaggio sportivo-umanitario “Giro del mondo in bicicletta per i diversabili”

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1842mo giorno, cronaca 116, Ushuaia (S54°48.345′ W68°18.431′), Argentina, 17 febbraio 2015 16:20 –

Alcuni cicloviaggiatori che ho incrociato, e che risalivano il Sud America, mi avevano messo in guardia sulle pessime condizioni delle strade boliviane, le peggiori che abbiano mai incontrato un tutto il tragitto dalla Tierra del Fuego. Sino a Uyuni, li avevo snobbati perché da La Paz avevo sempre trovato un fondo ben asfaltato, evidentemente questi non erano mai stati in Birmania dove le direttrici principali sono una tortura per i rari cicloviaggiatori che si avventurano a percorrerle. Sulla mappa del GPS e su Google Maps la Nazionale 21 per Tarija e poi la 11 per Villa Montes sono indicate come autostrade “normali”. Perciò, la mattina del 5 novembre 2014, ho cominciato a pedalare sul tratturo sterrato, indicato come N21, convinto che fosse solo un breve tratto. Una decina di chilometri più avanti ho chiesto ad un pastore che vigilava un gregge di lama e pecore quando cominciasse l’asfalto, questo mi ha risposto che non c’era catrame. Per essere sicuro della cosa, ho domandato quando finisse lo sterrato, la risposta è stata “mai!”. Avevo percorso solo la prima decina di 700 chilometri di cammino sino alla frontiera paraguaiana e il nero bitume era una sostanza sconosciuta, mentre il bianco della breccia cominciava a riflettere i raggi solari, come il candido sale del Salar de Uyuni. Ho presto notato che la corsia più comoda dove pedalare, e dove le mie sottili ruote non si affossavano, non era l’autostra-tratturo ma il sentierino perfettamente parallelo alla strada creato dal calpestio dei greggi di lama che si muovono in fila indiana seguendo il maschio alfa, dopotutto i lama sono camelidi che, come i loro cugini sahariani e nel Gobi, formano lunghe code quando si spostano.

La sola forza di volontà mi ha fatto raggiungere la città di Tarija, dove ho trovato alloggio nell’ostello La Casa Blanca. Qui alcuni dei residenti mi hanno chiesto di preparare un piatto italiano per cena. Chiaramente ho accettato e preparato un risotto ai broccoli per una decina di persone, che mi è venuto particolarmente cremoso e saporito. Senza saperlo, il successo di quella prima cena, è stata una dichiarare di guerra culinaria a Dong Mai, una trentenne cinese venuta lì in vacanza e che non era riuscita a resistere all’istinto commerciale intraprendendo il business di importare abiti da sera dal suo paese. Sino ad allora lei era stata la regina della cucina deliziando tutti con piatti della regione d’origine nel nord della Cina. La sera successiva, quella figlia dell’Impero di Mezzo, ha contrattaccato preparando ben cinque portate tra cui: ali di pollo caramellate, zuppa di manzo e delle adorabile verdure saltate all’olio di sesamo. Per la controffensiva del giorno dopo, ho deciso di proporre un classico della cucina italiana: pizza e calzone, che mi hanno fatto riportare una significativa vittoria tanto che la stessa pietanza mi è stata richiesta il dì seguente. Ma per la cena consecutiva, Dong Mai ha tirato fuori l’artiglieria pesante preparando: 蒸馄饨 (wonton al vapore) e delle cosce di pollo marinate per 12 ore, cotte al forno e poi saltate con la salsa di soia. Queste ultime erano talmente soffici che si scioglievano in bocca, una vera diavoleria cinese degna del palato degli imperatori Han. A quel punto, non avevo che una possibilità per la stoccata finale, pescare nella tradizione mediterranea più autentica: parmigiana di zucchine. Non potevo farcela da solo, sia per la laboriosità del piatto sia perché il numero dei commensali era passato dalla decina della prima sera a più di venti, con gli amici dei proprietari e dei dipendenti che avevano avuto notizia della tenzone culinaria e si erano aggregati. Così ho chiesto aiuto a una ragazza francese disegnatrice di moda, un indiano che lavora come sommelier a Dubai, un architetto australiano e una dottoressa belga specializzata in malattie tropicali. Con questa squadra degna delle Nazioni Unite e capace di far zittire il più perfido dei Masterchef, che oggigiorno tanto vanno di moda in televisione mente dovrebbero essere relegati ai fornelli!, abbiamo affettato, impanato e fritto zucchine per tutto il pomeriggio, mentre il sugo è stato preparato con pomodori freschi del tipo San Marzano. Il tutto è stato posto in strati perfettamente stabili e simmetrici, anche grazie alle conoscenze tecniche dell’architetto in fatto di equilibrio di forze, le stesse che servono a tenere in piedi un grattacielo e, con il tocco estetico della stilista, tre grandi teglie ancora fumanti sono state portare a tavola per lo sbalordimento degli occhi dei banchettanti e il godimento dei loro palati. Non credo che questo confronto tra le due tradizioni culinarie più grandi al mondo, o almeno le più diffuse, abbia avuto un vincitore perché esse si fondano su basi filosofico-culturali talmente differenti che è inconcepibile solo compararle.

Matteo - Ushuaia fin del mundoNonostante le imploranti richieste, non solo dei residenti ma anche di vari boliviani, di estendere la mia permanenza nell’ostello, il 13 novembre ho lasciato quel luogo che era diventato più familiare della mia stessa casa, imboccando un altro sterrato per Villa Montes. Avevo trascorso gli ultimi due mesi a un altitudine di circa 4000 metri, respirando a fatica e soffrendo sempre il freddo, ora mi trovavo ai margini dell’Amazzonia a poche centinaia di metri d’altitudine dove l’ossigeno abbonda ma il caldo soffoca, in questo continente si passa da un estremo all’altro! Da lì il mio programma era di percorrere il centinaio di chilometri alla frontiera paraguaiana ed entrare in quel misterioso, o almeno poco visitato paese, ma le piogge monsoniche avevano trasformato la strada in un acquitrino. Per cui ho dovuto prendere la Nazionale 9, perfettamente asfaltata, che arriva a Yacuiba, città di frontiera con l’Argentina e attaccare le vaste prateria della “pampa”.

“Pampa” è parola del dialetto indigeno Quechua e significa semplicemente pianura, infatti da qui comincia una piana che si estende a perdita d’occhio verso oriente, mentre in lontananza a ponente si scorge la bruna massa delle Ande. Per i primi 700 chilometri la pampa alterna tratti di arido deserto roccioso con piante grasse, a una savana di bassi alberi e cespugli spinosi. Tra gli uni e gli altri l’uomo ha creato zone irrigate dove si estendono coltivazioni a cereali talmente vaste che il medesimo campo ininterrotto termina ben oltre la linea dell’orizzonte, i più estesi che abbia mai visto in vita mia. Sino ai paraggi di Salta, il vento mi è stato avverso poi, come per magia, ha girato spirando da nord, perciò sospingendomi e permettendomi di percorrere una media di ben 160 chilometri al giorno.

Con le ali ai pedali, il 29 novembre sono arrivato a Cordoba, dove avevo contattato alcuni membri della rete Warmshowers.org ricevendo varie risposte positive e scegliendo di accettare l’ospitalità di Lucas, un ventenne che divide un appartamento con Matias, suo coetaneo. Il giorno che sono arrivato c’era una festa, in realtà era la continuazione dei festeggiamenti della notte prima, terminati all’alba!, per il compleanno di Matias. Si trattava di un semplice ritrovo di una ventina di amici per terminare una cassa di birra e alcune bottiglie di vino e superalcolici, tra cui un paio di Fernet Branca, che i giovani argentini consumano in gran quantità mischiandolo con la Coca-Cola. La sera successiva, altri amici hanno portato ancora da bere e così ogni giorno della settimana che mi sono fermato in quella casa, che mi ricordava quando alla stessa età la mia vita non era troppo differente da quella di Lucas e compagnia.

L’articolo 25 della costituzione argentina del 1853 recita “El Gobierno federal fomentará la inmigración europea; y no podrá restringir, limitar ni gravar con impuesto alguno la entrada en el territorio argentino de los extranjeros que traigan por objeto labrar la tierra, mejorar las industrias, e introducir y enseñar las ciencias y las artes”. Con tale base giuridica non sorprende che un detto sudamericano dica: “Los mexicanos descienden de los Aztecas, los peruanos de los Incas y los argentinos de los barcos”. Infatti, tra il 1876 e il 1930, degli oltre cinque milioni di emigranti scesi dalle navi, ben tre venivano dalla penisola italica, principalmente da Veneto, Lombardia e Liguria, mentre l’immigrazione dalle regioni meridionali si dirigeva verso gli Stati Uniti. Perciò non è sorprendente che oggigiorno il 50% degli argentini abbia progenitori italiani, tanto da far dire allo scrittore messicano Octavio Paz: “Los argentinos son italianos que hablan español y se creen franceses”. Inevitabilmente, i discendenti degli emigrati italiani hanno fortemente caratterizzato la storia di questo paese in tutti i campi, a cominciare dal generale e patriota Manuel Belgrano che ha disegnato la bandiera, passando per i calciatori Alfredo di Stefano, Omar Sivori e Lionel Messi e, rimanendo nel campo sportivo, la tennista Gabriela Sabatini, continuando con i compositori Astor Pizzolla e Osvaldo Pugliese, ancora lo stesso presidente Juan Perón e finendo con l’attuale pontefice Francesco Primo al secolo Mario Bergoglio. Qui ho enumerato solo alcuni di quelli che hanno ottenuto una rinomanza internazionale altrimenti la lista sarebbe sicuramente lunghissima e certamente incompleta.

Matteo Argentina border - PatagoniaAnche senza sapere quello che ho riportato qui sopra, appena passata la frontiera mi sono immediatamente sentito in un luogo con molto di familiare, per le piazzette circondate da bar con tavolini dove tazzine di caffè espresso sono bevute da gente che gesticola e si atteggia come gli abitanti di Palermo, Napoli o Torino, oppure i negozi di tortellini, fettuccine e ravioli alla ricotta e parmigiano fatte a mano, o ancora le pizzerie con larghe teglie di fumante pizza al taglio e freschi tramezzini quadrati o triangolari. L’influenza non si limita alla sfera culinaria ma si estende all’abbigliamento con le boutique che non hanno nulla da invidiare alle migliori milanesi o romane; ai programmi televisivi della stessa bassa qualità con ballerine scosciate e dagli ampi décolleté; alla corruzione politica, per cui i telegiornali dei due paesi sono virtualmente identici (un’interessante lettura è “L’Italia come l’Argentina? Similitudini e contraddizioni di due democrazie malate” di Daniela Bruno Carapella); alla passione smodata per il calcio; all’umorismo a forte sfondo sessuale e maschilista; persino sono varie le parole italiane che sono diventate di uso comune nel distorto castigliano argentino. Anche qui la lista sarebbe ancora estesa e non farebbe che confermare il fatto che come italiano mi sono sentito immediatamente in sintonia culturale con i ragazzi a Cordoba e con tutti gli altri argentini che ho incontrato e, per certi aspetti, molto più in armonia che con i miei connazionali in suolo patrio. È come se gli argentini fosse italiani ma che da tanto tempo vivono all’estero e hanno perciò perso alcuni dei loro caratteri più distintivi mantenendone comunque delle forti caratteristiche, esattamente come il sottoscritto…

Ergo, il 4 dicembre mi è stato molto penoso lasciare Cordoba e proseguire a sud sino a Rio Cuarto, per poi svoltare a ovest per Mendoza e raggiungere la frontiera cilena. Lungo la via mi sono fermato per la notte nel rifugio di Punta de Vacas a 3000 metri d’altitudine, che è ricavato da una stazione ferroviaria sulla linea per Santiago oggi in disuso. Quel giorno ero l’unico ospite e la notte i gestori sono andati via lasciandomi completamente solo tra quelle montagne inabitate per decine di chilometri. Dalla torrida e verdeggiante pampa ero passato all’arida e gelida cordigliera della Ande, salendo sino ai 3600 metri del passo los Libertadores, anche se una galleria attraversa la montagna così che il traffico non arriva a quell’altitudine. Alle biciclette è vietato usare il tunnel, quindi sono stato caricato su un camioncino che mi ha depositato all’altro lato, anche se avrei potuto passare il confine via il vecchio passo del Cristo Redentor, allungando di una decina di chilometri, ma non ne avevo voglia, può darsi che mi stia impigrendo! I controlli doganali cileni sono stati i più rigorosi a cui sia mai stato sottoposto e gli unici dove abbia dovuto aprire tutte e tre le bisacce mostrarne il contenuto completo. Terminate le formalità doganali, ho inforcato nuovamente la bicicletta e mi sono trovato di fronte a un precipizio di un chilometro dove l’uomo ho creato una strada sette volte quella distanza che si snoda in 20 tornanti a gomito. Questo tratto è considerato uno dei più spaventosi e pericolosi al mondo e ho potuto constatarlo di persona assistendo a un incidente in cui un camion, che trasportava un container di bottiglie di vino rosso, si è capovolto in una delle ultime curve in alto. Il container si è staccato dalla motrice rotolando verso il basso per alcuni metri, le bottiglie si sono rotte e dallo scatolone di metallo è sgorgato copioso il liquido rosso che ha creato un vero ruscello tanto fragoroso e odoroso da bloccare il traffico per alcune decine di minuti. Era uno spettacolo surreale, che ha fatto intristire alcuni degli automobilisti che ho sentito proferire parole del tipo “che peccato” oppure “è un delitto”.

Matteo Tricarico - frontiera ChileDal 15 al 17 dicembre sono rimasto a Santiago del Chile ospite di Daniela, una ventenne insegnante di educazione fisica e giocatrice di pallamano selezionata per la nazionale femminile. Alcuni giorni prima, mi aveva contattato Dong Mai che dalla Bolivia si era trasferita a Iquique, nell’estremo nord del Chile e che aveva espresso il desiderio di rivedermi. Anche se ci trovavamo nello stesso paese, c’erano 1850 chilometri che ci dividevano, una distanza che non potevo percorrere in bicicletta perché avrei dovuto ritornare sui miei passi, ritardando l’arrivo in Tierra del Fuego di almeno un paio di mesi. Pertanto ho lasciato la bicicletta da Daniela e ho preso un autobus che in 21 ore mi ha portato da Dong Mai che mi aspettava alla stazione. Entrambi siamo stati ospitati da Carolina, una sua amica che il giorno dopo ci ha lasciato la casa per andare a trascorrere le vacanze natalizie dai genitori nel sud. I primi quattro giorni con la mia amica orientale sono stati idilliaci e molto attivi: abbiamo partecipato alla cena di fine anno dell’associazione dei discendenti cinesi di Iquique; siamo stati invitati ad un paio di feste di compleanno; con Miriam e Chisen, una coppia amica di Carolina, con lui cinese cantonese di terza generazione, abbiamo visitato l’altopiano a est della città, considerato il posto più arido al mondo, andando a fare il bagno in una pozza d’acqua calda sulfurea a 2700 metri d’altitudine. Chisen ci ha anche invitato a pranzo a casa sua dove sia io che Dong Mai abbiamo cucinato e conosciuto il padre. Questo ci ha raccontato di aver passato un periodo in prigione durante la dittatura di Pinochet con l’accusa di comunismo per colpa di una copia del libretto rosso di Mao che aveva portato come souvenir una decina d’anni prima da un viaggio in Cina e che gli agenti del regime avevano trovato in soffitta durante una delle frequenti perquisizioni a caso.

I problemi con Dong Mai sono cominciati il 23 dicembre alle 1:12 della notte quando lei mi ha chiesto quali fossero i miei programmi per il futuro… Per esperienza ho imparato che si ha più probabilità di uscire vivo da un campo minato in Cambogia che di dire a una ragazza che per ora non c’è futuro con lei. Ho cercato di evitare di dare una risposta precisa per un’oretta e “Devo finire il viaggio, poi ne parliamo…” è stata la scintilla che ha incendiato la polvere che ha portato alla detonazione di una serie di espressioni tratte dal classico prontuario che le fanciulle di qualsiasi continente proferiscono in simili occasioni. Dai tempi dell’Homo Erectus, le locuzioni seguono esattamente lo stesso ordine, cioè: che cosa voi da me?; vuoi solo giocare con il mio cuore!?; voi uomini site tutti uguali! Vai via che non ti voglio più vedere. Nulla è cambiato nelle reazioni delle femmine della nostra specie negli ultimi due milioni di anni nonostante l’indiscusso passaggio evolutivo del maschio che lo ha portato a preoccuparsi, quindi gioendone, del presente più che angosciarsi, quindi soffrendone, dell’incerto futuro. Quello femminile è semplicemente un limite evolutivo, colpa di Madre Natura che non credo riuscirà a risolverlo nemmeno con Homo Spazialis, quando lasceremo questo pianeta per vivere su altri mondi. Un altro degli effetti della mancanza di questo anello evolutivo è che per le donne lo spazio temporale che intercorre tra proferire parole di tenero affetto e quelle di odio più profondo supera di gran lunga la velocità di un Neutrino, che pare sia ben 60 nanosecondi più rapido della luce. Mentre non tutti al CERN sono d’accordo su quest’ultima ipotesi scientifica, c’è assoluta concordia sulla superiore rapidità del passaggio dall’amore all’odio nella mente femminile, tanto veloce che non è razionalmente quantificabile per mancanza di una scala di valori empirici e teorici che la misuri.

La pretesa di questa discendete degli Han di interrompere il mio viaggio per stare con lei era superata, nella sua assurdità, solo da quella che uscissi dall’appartamento a quell’ora della notte, per allontanarmi da lei il prima possibile. Le sue urla hanno svegliato i vicini, qualcuno ha bussato alla porta e questo ha avuto l’effetto di calmarla anche se non l’ha fatta ritornare alla ragione, per fortuna i cinesi preferiscono evitare gli scandali. Ad un certo punto è andata in cucina uscendone con un coltello da tavola senza punta, per fortuna l’unica arma bianca presente nell’appartamento perché Carolina ha la reputazione tra gli amici di mai cucinare a casa e mangiare sempre al ristorante, abitudine poco salutare per lei ma che si è rivelata salubre per il sottoscritto e che probabilmente mi ha salvato la vita. Non è la prima volta che una ragazza cerca di ammazzarmi: in Laos una ex mi ha attaccato con uno di quei coltellacci cinesi a mannaia, anni prima in Inghilterra un’altra ha cercato di strangolarmi nel sonno e in Egitto una russa ha appiccato il fuoco alle lenzuola del mio letto, per cui conosco la pericolosità di una donna che si è immaginata un futuro con me e che si rende conto della sua irrealizzabilità.

Tra gli insulti che Dong Mai mi ha rivolto, quello che più mi ha colpito è stato di essere un 不可靠的, cioè un “inaffidabile”, nel senso che una persona della mia età che lascia tutto e si mette a fare il giro del mondo in bicicletta non può che essere un poco di buono, un irresponsabile, un immaturo. Francamente dal mio punto di vista questi aggettivi mi rendono abbastanza fiero di me stesso e della mia anormalità visto che ho sempre aborrito la normalità o almeno mi è sempre stato difficile essere normale, ma nella sua ottica queste sono le peggiori caratteristiche che un uomo possa avere. Ho dovuto fare appello a tutto il mio sangue freddo e diplomazia per convincerla di lasciarmi dormire sul divano, promettendole che la mattina seguente sarei andato via prima del suo risveglio. L’avrei fatto, se solo lei non si fosse svegliata alle prime luci dell’alba, un paio d’ore più tardi, accusandomi di essere oltre che un 不可靠的 anche un bugiardo…

Visto che quella notte non avevo chiuso occhio, anche se mi ero assopito sul divano restando comunque con un occhio aperto per la paura essere colpito da un qualche oggetto contundente, ho dormito perfettamente buona parte delle 21 ore di autobus per tornare a Santiago de Chile. Anche perché il panorama per i primi 1350 chilometri è tra i più noiosi e monotoni al mondo, essendo la parte finale del deserto costiero che dalla frontiera tra Ecuador e Perù si estende per 4000 chilometri tra il Pacifico e la Cordigliera sino alle valli di La Serena dove, come per magia, la sabbia biancastra si trasforma in terra ricoprendosi di vegetazione. Con la sua visione del mondo di ventenne, dopo averle raccontato la mia sventurata avventura sentimentale, Daniela ha detto che comunque era un’esperienza, da quarantacinquenne le ho risposto che alla mia età mi interessano solo quelle buone che di cattive ne ho già avute abbastanza.Matteo panamericana

Il 28 dicembre ho inforcato la bicicletta imboccando la Pan-americana direzione Pucon, un migliaio di chilometri più al sud. Nel percorso ho fatto un paio di deviazioni tra cui un’interessantissima a Curacautin dove sono stato ospite di Pascal, un ingegnere francese che con sua moglie in nove mesi ha percorso a piedi, quindi camminando!, i 3500 chilometri da Santiago a Puerto Natales. Ora si sono stabili a Curacautin e hanno due figlie rispettivamente di tre anni e sei mesi. Mi hanno portato sulle pendici del vicino vulcano Tolhuaca la cui ultima eruzione risale allo scorso anno. Non ero mai stato tanto vicino alla bocca di un vulcano attivo che si presenta come un paesaggio lunare e non avevo mai camminato su una nera colata lavica che sino a pochi mesi or sono era roccia incandescente.

Pucon è un villaggio, diventato turistico, che si trova sulle rive del lago Villarica ai piedi dell’omonimo vulcano, che è un perfetto cono fumante. Qui ho incontrato Catalina e Arturo, una coppia di artigiani hippy che ho conosciuto in Messico un anno e mezzo fa. Sono sposi da sei mesi, dopo sette anni di vita comune nomade attraverso tutta l’America latina. Lei figlia di due rinomati professori universitari e lui di una facoltosa famiglia catalana, hanno abbandonato le comodità e le mollezze della vita borghese per mantenersi confezionando e vendendo piccoli capolavori di bigiotteria con pietre semi-preziose incastonate con fili di argentone e di nailon policromo intrecciato. Già a Playa del Carmen li ho trovati due persone molto piacevoli da frequentare, interessanti e un po’ li ammiro per la loro scelta di vita, libertà di spirito e capacità di menare un’esistenza alternativa e fuori dai comuni schemi piccolo borghesi.

Se gli argentini per la loro composizione etnico-culturale hanno nel bene e nel male tanti aspetti degli italiani, i cileni per gli stessi motivi hanno forti elementi culturali tedeschi e svizzeri per aver avuto una rilevante immigrazione teutonica. Infatti, passando dalla pampa all’altro lato delle Ande, la gente perde quel gesticolare e loquacità tipicamente mediterranea, tutto è più organizzato ed efficiente, le strade sono molto migliori e la polizia cilena è al terzo posto dell’invidiabile classifica delle meno corrotte al mondo. Rispetto all’Argentina, il Cile ha un’economia molto più produttiva e florida e lo Stato non soffre dell’endemica fragilità che porta alla bancarotta, o quasi, a regolari cicli ventennali. Eppure il Cile ha minori potenzialità del suo vicino a est, avendo inferiori risorse naturali, un territorio infinitamente più piccolo e meno popoloso. Gli argentini spiegano questo successo attribuendolo alla maggiore laboriosità dei vicini, un po’ come gli italiani sono accusati di essere degli sfaticati rispetto ai tedeschi, ma non lo credo, piuttosto penso che tutta la differenza stia nella diversa coscienza civile e sociale dei popoli mediterranei rispetto a quelli germanici e scandinavi. Senza entrare nell’analisi storico-culturale-religiosa che ha portato a questa differenza, è innegabile che i cittadini nord europei hanno un maggior rispetto per la collettività in cui vivono e ognuno si sente una cellula di un organismo sociale complesso e tutte sono tese al bene comune. Ciò per conseguenza porta a restringere la libertà individuale, mentre i popoli sud europei sono molto più individualisti per cui la libertà dell’individuo è un valore molto più alto del bene comune. Le diverse migrazioni di popolazioni europee hanno caratterizzato l’evoluzione e il successo sociale e economico dei queste due nazioni sudamericane.

Personalmente sono un passional-individualista, per cui preferisco i paesi meno organizzati ma più “umani”, che si tratti di europei, americani o asiatici dove, ad esempio, prediligo le culture di derivazione indiana, che sono simili a quelle mediterranee, come il Laos o la Cambogia, rispetto a quelle cinesi, come il Vietnam affine a quella teutonica e scandinava. Per ciò, con gran piacere l’undici gennaio 2015 ho riattraversato la cordigliera per rientrare in Argentina e mettere ruota in Patagonia. Il termine Patagón, traducibile dallo spagnolo antico come “dai grandi piedi”, fu coniato da Ferdinando Magellano impressionato dell’altezza degli indigeni che poteva raggiungere due metri e, per conseguenza, avevano dei piedoni. Questa regione è sinonimo di isolamento, lontananza e distanza dalla civiltà umana. Tanto per riportare solo tre citazioni letterarie che ho per caso incontrato negli ultimi mesi: è il posto dove la creatura del dottor Frankenstein nel libro di Mary Shelley avrebbe voluto andare a vivere per non entrare più in contattato con gli umani; Benito Perez Galdos fa dire a Don Paco che neanche ritirarsi in quel luogo avrebbe potuto sfuggire all’ira della Contessa doña Maria; e Emilio Salgari in “Meraviglie del 2000” la cita varie volte come l’ultimo luogo dove ci sono ancora spazi aperti. Di fatto questo è il limite geografico delle terre abitate e per quello che ho potuto constatare di persona la fama di questa regione è pienamente meritata e corrisponde a realtà.

matteo con vulcanoAnche se amministrativamente la provincia argentina di Patagonia non comincia che una cinquantina di chilometri a sud di San Carlos de Bariloche, già da San Martin de los Andes, il termine appare a ogni piè-sospinto. Nei 400 chilometri tra Juanin de los Andes e El Bolson la vegetazione è fondamentalmente la stessa dell’Alaska e dello Yucon, cioè una lussureggiante foresta di conifere con sottobosco di piante dalle foglie larghe che competono per ogni raggio di sole che filtra tra i pini. Seguendo la Ruta 40, e passata la regione dei sette laghi, gli alberi di alto fusto scompaiono e comincia la steppa patagonica composta di bassi cespugli legnosi e di ciuffi d’erba che si estendono a perdita d’occhio e così avanti per i successivi 1500 chilometri sino a El Calafate ai piedi del ghiacciaio del Perito Moreno.

Se potessi tornare in dietro, non percorrerei la Ruta 40 ma prenderei il traghetto della Navimag che parte da Puerto Mortt e in quattro giorni arriva a Puerto Natales navigando tra i fiordi del Cile, sicuramente uno dei paesaggi marittimi più incantevoli al mondo! Capisco che questa affermazione potrà sorprendervi, dopo tutto ho attraversato in bicicletta le foreste tropicali asiatiche e centroamericane, i deserti iraniani e messicani, le montagne himalaiane e andine. Questi sono stati passaggi ardui che hanno messo a dura prova la mia resistenza e determinazione, ma sono state passeggiate nel parco al confronto delle lande patagoniche. Passata Tecka comincia il “Girone della Ruta 40”, dove vengono puniti i viaggiatori in bici che hanno peccato di presunzione e superbia per aver creduto che dopo aver pedalato per 58.000 chilometri la Patagonia sarebbe stato un altro tratto normale, ma non è così. I motivi che hanno reso un inferno gli ultimi 2000 chilometri sino a Ushuaia sono vari e principalmente: il forte vento che spira da sud sud-ovest con velocità che superano i 70 km/h, che obbliga a pedalare inclinati e trascina al centro della strada, con il rischio di essere investiti dalle poche macchine e camion di passaggio; la scarsità di centri abitati con tratti anche di 400 chilometri scevri di presenza umana e dunque con impossibilità di approvvigionarsi di cibo e acqua; l’assoluta mancanza di ripari dal vento che la notte costringe a dormire dentro i tubi sotto la strada; circa 500 chilometri di polveroso sterrato che con poche gocce di pioggia si trasforma in un pantano dove persino le poderose moto BMW da enduro restano bloccate; anche gli animali selvatici, come le volpi e gli uccelli, sono ostili. Se nelle precedenti avversità la forza di volontà mi ha permesso di superare tutti gli ostacoli, in Patagonia è stata quella della disperazione che mi ha fatto proseguire, ma verso Rio Chico anche questa si è esaurita, a quel punto mi è rimasta l’ultima risorsa, non solo umana ma di qualunque essere vivente, la forza di sopravvivenza.

Matteo Tricarico - rio Azul AgentinaFra tutte queste circostanze sfavorevoli c’è ne una favorevole: il numero di ore di luce. In questa stagione, e a questa latitudine, il sole non tramonta prima di 18 ore dal suo sorgere permettendomi così di pedalare anche 12 ore al giorno e attraversare lo Stretto di Magellano, tra Punata Arenas e Porvenir, il sette di febbraio. Sul traghetto Patagon, che mi stava portando dalla Patagonia all’isola maggiore della Tierra del Fuego, mi sono talmente commosso che due lacrimoni mi hanno rigato le guance. Arrivato a Ushuaia sono sceso dalla bicicletta, mi sono inginocchiato e ho baciato la terra davanti al cartello che solennemente comunica che si è giunti al Fin del Mundo. Alla prossima…

Se avete domande o curiosità lecite, sarò lieto di rispondervi. mt@matteot.com

Sito Ufficiale del progetto con informazioni, foto e video www.travelforaid.com. Cronache precedenti www.travelforaid.com/cronaca

Articolo presente in:
News
  • Una domanda sola: come fai a fare tutto questo senza ammalarti o essere aggredito da persone ostili? come ti difendi? cosa porti con te,in cosa consiste il tuo kit di sopravvivenza?

    Pino 19/02/2015 10:00 Rispondi

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