Venerdì 29 Marzo 2024

26 settembre 1976-26 settembre 2016: per non dimenticare

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È ancora vivido il ricordo di quel tragico giorno, nonostante siano trascorsi quarant’anni. Domenica 26 settembre 1976 ore 9.40 circa, un forte boato turba la tranquillità dell’ancora assonnata città di Manfredonia. Scoppia la colonna di assorbimento di anidride carbonica inserita nell’impianto del gas di processo per la produzione di ammoniaca dello stabilimento petrolchimico Anic, situato a meno di un chilometro dal centro abitato. L’esplosione provoca il distacco della parte terminale della colonna, (circa 12 metri) con la conseguente fuoriuscita, secondo i tecnici dell’ANIC, dalle 7 alle 10 tonnellate di anidride arseniosa. Per il Consiglio di fabbrica, invece, di 30 o 32 tonnellate, specificando che la colonna saltata in aria conteneva alla sommità ben 60 tonnellate di arsenico. Il materiale ferroso sparso per un raggio di oltre 300 metri danneggia notevolmente gli impianti circostanti, in particolare un capannone di cemento armato, sfondandolo. Catastrofica, invece l’enorme nube di anidride arseniosa alta oltre duecento metri sprigionatasi dopo lo scoppio, dispersa nell’atmosfera, poi depositatasi sul suolo per un raggio di circa due chilometri. Incidente che avrebbe potuto assumere proporzioni ancor più catastrofiche se quel giorno fosse stato lavorativo. Fortunatamente, si fa per dire, era domenica. Solo per l’operaio Michele Palumbo di 22 anni si rese necessario il ricovero all’Ospedale Civile “S. Camillo De Lellis” di Manfredonia, dove i sanitari gli medicarono ferite multiple alla mano e al braccio sinistro. Vivemmo quel momento con adrenalinica incoscienza. Dopo circa quindici minuti dallo scoppio, raggiungo lo stabilimento, mi dirigo presso l’infermeria dove uno spettacolo allucinante mi si presentò davanti. Momenti di panico e di sbigottimento tra gli operai addetti agli impianti circostanti, assistiti dal dott. Ermete Barbato. Molti di essi, con il volto sbiancato, ancora increduli per l’accaduto, visibilmente traumatizzati si scrollavano di dosso l’anidride arseniosa dopo essersi liberati dagli indumenti. A dir poco criminale fu il comportamento di alcuni dirigenti dell’azienda che minimizzarono l’accaduto dichiarando che l’enorme nube sprigionatasi nell’aria, altro non era che semplice vapore acqueo. Nel tempo l’incidente, il più grave nella storia del petrolchimico, provocò parecchie morti per tumore (si parlò di venti persone), tra queste anche Nicola Lovecchio che con la sua tenacia dimostrò la causa di quelle morti. Ancora oggi, a distanza di quarant’anni si continua a morire, poiché non si è mai provveduto a bonificare a dovere l’intera zona contaminata. Il miraggio di un’ipotetica reindustrializzazione di quel territorio, ancora in corso di bonifica, ha portato a consentire l’insediamento di altre fabbriche grazie ai contratti d’area. Ancora oggi è possibile assistere allo sversamento a mare di acque delle falde acquifere preventivamente depurate, ma non abbiamo alcuna garanzia certa che le acque vengano riciclate nel modo corretto. Questo il vissuto di una popolazione che, nonostante siano trascorsi tanti anni, teme per la propria salute, perché le morti per tumore sono inarrestabili. A dimostrarlo sono i resoconti del Registro dei tumori del Comune di Manfredonia (1960-1994) di ben 630 pagine e i dati raccolti dalla Commissione scientifica in una recente ricerca epidemiologica. Alla luce di queste informazioni, davvero impressionanti, quali le iniziative che s’intendono prendere in un prossimo futuro per debellare o, quantomeno, arginare tale fenomeno?

Matteo di Sabato

 

https://www.youtube.com/watch?v=TqTyYxTofRU

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